di Salvatore Fiorentino © 2021
Che le cose si mettano male lo rivela il colpo di teatro di Mattarella nell’occasione del ricordo dell’ex presidente Leone, con la rievocazione dell’avversione di quest’ultimo (così come del predecessore Segni) per una eventuale rielezione del capo dello Stato. Ora, che l’attuale inquilino del Quirinale non sia un cuor di leone è fatto notorio ma, come scriveva Manzoni, Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Così lo prende in prestito, citando altri, per dire no grazie, non sono disponibile ad avventure autoritarie, quali quelle che sembrano nei prossimi programmi della repubblica (ah), con la svolta che si è realizzata con l’avvento a palazzo Chigi di Mario Draghi, osannato dai poteri che contano, industriali italiani e alta finanza europea, gli stessi che un tempo videro con favore la presa del potere di Benito Mussolini, per l’instaurazione del regime fascista in Italia, complice un monarca debole, anch’egli privo di coraggio e che, pertanto, non poteva darselo da solo.
Non è mai stato un problema della destra politica. Così come il fascismo originò dal nazionalsocialismo, il neo-autoritarismo di Draghi è oggi sostenuto da forze che, come il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle (oltre all’irrilevante Liberi e Uguali), si collocano nella grande famiglia europea dei socialdemocratici. Quelli stessi che hanno salutato con tripudio la liberazione degli USA dal pericoloso Trump, grazie all’elezione del “democratico” Joe Biden, certamente più abile a vestire i panni del politicamente corretto. Come aveva capito in tempi non sospetti l’Avvocato Agnelli (legato a filo doppio con gli USA), il modo più efficace per ottenere gli obiettivi restauratori è quello di farli realizzare dalle forze democratiche e progressiste. Perché così nessun sindacato oserà contestarle, mentre verranno spiegate al “popolo” come riforme non solo necessarie ma persino utili. Berlusconi non ha mai potuto (né voluto) abolire l’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
Mentre lo ha fatto Renzi, con il silenzio complice della Triplice, Landini il fu “metalmeccanico”, che oggi si fa mettere la mano sulla spalla dal padrone Draghi, in primis. Quel Renzi che adesso viene additato da chi lo esaltava, da chi lo invocava, da chi lo usava per il disbrigo dei “dirty works” che facevano tanto comodo a tutta la sinistra perbenista e legalitaria di giorno, ma che di notte trescava con la peggiore imprenditoria, a cominciare dagli inquinatori assassini dell’ILVA e per finire con quelli, tali Benetton, che fanno crollare i ponti perché devono lucrare sino al punto di mettere a rischio la vita delle persone, salvo poi finanziare iniziative culturali e campagne pubblicitarie “politically correct“. Quello stesso Renzi grazie al quale è stato eletto Mattarella come presidente della repubblica (deo gratias) e grazie al quale è stato insediato Draghi (deo gratias bis) come premier al posto di colui che, per quanto criticabile, era espressione del voto popolare scaturito dalle elezioni del 2018.
Sicché, quando spira il vento autoritario i giornalisti italiani danno il meglio di sé. Come dimostra il fatto che firme ritenute autorevoli, quali Paolo Mieli, Massimo Franco e Stefano Folli, solo per citare i più noti al grande pubblico dei grandi giornali, Corriere della Sera über alles, abbiano non solo ipotizzato ma addirittura prospettato la possibilità di una nuova svolta autoritaria, di fatto abolendo le elezioni politiche, ovvero rendendole ininfluenti rispetto alla formazione del governo, che si dovrebbe affidare a prescindere al neo duce, il migliore, l’unico, l’unto delle banche, Mario Draghi, come se su sessanta milioni e più di italiani non vi fosse nessun altro in grado di governare questo disgraziato Paese, dato per scontato che la volontà popolare, ossia l’unica forma di sovranità riconosciuta dalla Costituzione vigente, non sia da tenere in alcuna considerazione. E guai a chi lo facesse. C’è poi persino chi, tale Giorgetti (horror), ha sostenuto che Draghi possa governare dal Quirinale.
Lo dice l’Europa. Ma chi è mai quest’Europa? Se costei viene raffigurata come la cornucopia offerta in dono dalla Troika allora vi è una manifesta contraddizione in termini, oltre che un epocale inganno. Sono ormai vent’anni che agli italiani vengono chiesti sacrifici in nome di questa terra promessa di pace e prosperità dei popoli, mentre sino ad oggi si è assistito alla compressione dei diritti dei cittadini, al loro impoverimento progressivo, con la concentrazione della ricchezza in un cerchio sempre più ristretto di privilegiati parassitari, in un revival aristocratico che pretende di generare colonie in patria, sacche di sudditanza e persino di schiavitù, dove i lussi sfrenati delle élite vengono sostentati dallo sfruttamento delle classi subalterne, tenute nell’ignoranza e nello stato di bisogno, per precludere loro ogni speranza di emancipazione sociale ed economica. Timeo Danaos et dona ferentes, è questa l’unica verità che si può dire oggi di fronte ai doni della Troika e del suo pupo Mario Draghi.