di Salvatore Fiorentino © 2020
Perché la regione siciliana non ha mai avuto un piano dei rifiuti? Perché sono almeno vent’anni che si trascina un’emergenza che è diventata la “norma”? Perché non sono state mai svolte indagini sul “sistema dei rifiuti” da nessuna procura della repubblica siciliana? Perché non si è indagato quando l’ex assessore regionale ai rifiuti, Nicolò Marino, in rotta di collisione con i ras delle grandi discariche, venne defenestrato dalla politica e dalla (si può dire oggi) “falsa antimafia”? Perché i governi nazionali hanno tollerato questa situazione per decenni, senza adottare i necessari provvedimenti risolutivi una volta constatata l’inerzia degli organi regionali? Perché non è stata valorizzata la ampia e documentata indagine svolta dalla commissione parlamentare nazionale sui rifiuti, la cui relazione è stata depositata il 19 luglio 2016? Perché alla fine del 2019 è stata boicottata dal M5S la nuova legge regionale sui rifiuti? E perché, adesso che è stato approvato in commissione ambiente all’ARS il piano regionale dei rifiuti, il M5S siciliano, per voce di un ambientalista dichiarato come il deputato Giampiero Trizzino, si ostina ad avversarlo, visto che si rompe una impasse durata ben 23 anni? Sono questi i frutti dell’alleanza col PD (e in Sicilia con l’area dell’ex senatore Lumia)? Ecco alcuni tra gli interrogativi a cui non si è data e non si dà risposta da parte di chi non aveva e non ha alcun interesse al raggiungimento di una soluzione della crisi, dato che si tratta di un affare di proporzioni gigantesche, di miliardi di euro.
Le origini dell’emergenza: da Capodicasa a Cuffaro
Il 2 dicembre 1998, l’allora presidente della regione siciliana Angelo Capodicasa, a fronte della crisi delle discariche, chiedeva aiuto al governo nazionale, che il 22 gennaio 1999 dichiarava lo stato di emergenza, a partire dal 30 giugno e sino a tutto il 1999, con l’obiettivo di intervenire sullo stato di inadeguatezza delle discariche delegando come commissario straordinario lo stesso Capodicasa. L’emergenza veniva prorogata sino al 2006, al tempo della presidenza di Totò Cuffaro, senza che a quella data ne fossero state rimosse le cause. Nel 2000 veniva approvato il P.I.E.R. (documento delle priorità degli interventi per l’emergenza rifiuti in Sicilia), che individuava la rete impiantistica per la frazione umida (compostaggio) e quella secca (selezione e valorizzazione), mai attuato. Ma i successori di Capodicasa cambiano radicalmente impostazione: Vincenzo Leanza revoca gli atti del P.I.E.R. mentre con Cuffaro, primo governatore eletto direttamente dai cittadini, si passa alla termovalorizzazione, con una gara di 5 miliardi di euro indetta nel 2002 e aggiudicata nel 2003, per quattro impianti (Casteltermini, Bellolampo, Augusta e Paternò) di potenzialità complessiva pari a oltre 2,5 milioni di tonnellate annue, ossia l’intera produzione dell’Isola. Ma la gara viene annullata nel 2007 e nel 2008 la procura di Palermo apre un’indagine. A Cuffaro si deve anche la costituzione, nel 2002, di ventisette ATO, con assunzioni clientelari di personale ed una gestione presto fuori controllo, con oltre 2 miliardi di euro di debiti.
L’esplosione delle grandi discariche: il governo Lombardo-Lumia
Dopo le dimissioni di Cuffaro, poi condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia, nel 2008, il successore Raffaele Lombardo prosegue sulla strada dei quattro grandi termovalorizzatori, bandendo una nuova gara che però resta deserta. L’emergenza, formalmente cessata nel 2006 con la trasformazione della struttura commissariale nell’Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque (ARRA), di fatto prosegue sino al 2009 quando l’ARRA viene sciolta. Ma l’emergenza continua a seguito di un’ordinanza di protezione civile emanata dal premier Berlusconi nel luglio 2010, con la quale si nomina Lombardo quale commissario straordinario, con poteri di deroga. Nello stesso anno viene accantonato il progetto dei termovalorizzatori e varata la legge regionale n. 9, la quale riprende la strategia della differenziazione introdotta nel P.I.E.R. del 1999 e che, con successive modifiche, regola il settore, sebbene sia rimasta di fatto disattesa ancora dopo dieci anni, dato che il passaggio dagli ATO alle SRR non si è ancora realizzato. Tuttavia, tra il 2010 e il 2012, a seguito del sodalizio politico Lombardo-Lumia, vengono autorizzati ulteriori 11 milioni di metri cubi di discariche, essenzialmente a quattro soggetti privati: 3 milioni alla Oikos, 3 milioni alla Sicula Trasporti, 2 milioni alla Tirrenoambiente e 3 milioni alla Catanzaro Costruzioni. Ecco che i 5 miliardi di euro previsti per i quattro termovalorizzatori, di fatto, finiscono nelle tasche dei gestori di queste grandi discariche, grazie alle “generose” autorizzazioni.
Arriva l’antimafia: il governo Crocetta-Lumia
L’anomalia consisteva nel fatto che nel frattanto nulla si muoveva per l’attuazione della legge regionale n. 9, sia in ordine alla costituzione delle SRR che in ordine alla realizzazione di nuovi impianti per il compostaggio della frazione umida e per la selezione e valorizzazione della frazione secca, e quindi per l’incremento significativo delle percentuali di raccolta differenziata nell’Isola con il conseguente abbattimento delle quantità da conferire presso le suddette discariche, insorgendo peraltro perplessità sulla legittimità delle autorizzazioni, in quanto derogatorie dalle norme ambientali, dei cospicui ampliamenti intervenuti. E venivano omessi persino gli interventi urgenti ed indifferibili, come la messa in sicurezza della discarica di Bellolampo, difatti poi sottoposta a sequestro giudiziario, con conseguenze pregiudizievoli per l’ambiente e la salute dei cittadini, che si possono ragionevolmente ritenere perlomeno gravi. Sicché l’emergenza continua: nel dicembre 2014 il nuovo governatore Rosario Crocetta, subentrato a Lombardo nel frattanto costretto alle dimissioni perché travolto dalle vicende giudiziarie per mafia, scaduta l’ennesima proroga, chiede ancora al governo nazionale i poteri speciali, che stavolta vengono negati per il motivo che la prolungata gestione emergenziale si è dimostrata fallimentare, come certificato dalla Corte dei conti, con sprechi pari a 40 milioni di euro per il mantenimento della struttura commissariale.
Dalla vera mafia alla falsa antimafia: il “sistema Montante”
Con la gestione Crocetta, tuttavia, nel settore dei rifiuti è emerso quanto di più grave si potesse immaginare. Dopo due governatori costretti alle dimissioni perché implicati in fatti di mafia, stavolta l’addebito era ascrivibile a quella che si è, alla prova dei fatti, rivelata come “falsa antimafia”. Accadeva infatti che l’assessore ai rifiuti Nicolò Marino, ex pm poi rientrato in magistratura come gip, venisse estromesso dalla giunta regionale dopo uno scontro con quello che è stato definito, anche presso la Commissione antimafia nazionale, come “l’azionista di riferimento” della allora compagine governativa, ossia Confindustria Sicilia, al tempo rappresentata da Antonello Montante, e per di più col supporto dell’ex senatore “antimafioso” Beppe Lumia, definito nelle cronache non solo come “governatore della porta accanto”, ma soprattutto come “padrino politico” dello stesso Montante, e pertanto coinvolto in un filone dell’indagine che portava alla condanna del “figlioccio” a quattordici anni di reclusione. Secondo quanto dichiarato da Marino, presso la Commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava, Lumia sarebbe stato l’effettivo dominus siciliano del sistema dei rifiuti, e ciò sin dai tempi del governatore Lombardo, ruolo poi accentuatosi nel successivo governo presieduto da Rosario Crocetta. A tal riguardo, ritornano alla memoria le parole dell’allora presidente della Commissione regionale antimafia Nello Musumeci che ebbe a tacciare la “mafia dell’antimafia”.