di Salvatore Fiorentino © 2020
Ecce Yoghurt. Ogni cosa ha un inizio e una data di scadenza. E quella dell’avventura politica di Beppe Grillo sembra già essere stata superata (consumare preferibilmente prima del 4 marzo 2018). L’idea di riportare i cittadini dentro le stanze del potere, quella di riprendere una questione morale sempre proclamata e mai attuata, l’obiettivo di spazzare caste, rendite di posizione parassitarie e corrotti, l’ideale di garantire la giustizia sociale, erano e sono senza dubbio istanze socialiste (ma che non “rubano”). Condivisibili, perché capisaldi di una società disegnata per essere sana e serena, dove il cittadino è libero di vivere la sfera personale senza l’oppressione né di uno stato padrone né del capitale privato che sfrutti il bisogno di lavoro.
Per oltre 10 anni il fondatore e garante del M5S ha guidato il popolo del cambiamento, alimentando le speranze e le aspettative di tutta quella parte della popolazione che non ha mai tollerato, e non tollererà mai, la politica intesa come esercizio del potere fine a sé stesso o, peggio, quale strumento di coltivazione di interessi particolari di lobby, centri di potere e singoli uomini (si fa per dire) politici, dove l’interesse pubblico, generale, viene calpestato se non irriso spudoratamente, con il solito refrain che si ripete ormai da decenni. Così finendo che la politica invece di realizzare il consesso dei migliori si sia degradata ad un grottesco circo mediatico, dove alla fine occorre sempre ricorrere al tecnocrate di turno per governare.
Inutile illudersi che la crisi di governabilità che si trascina da decenni, conclamandosi dopo la famigerata (ma talvolta rimpianta) “prima repubblica”, sia un problema tecnico, di sistemi elettorali, architetture istituzionali e pseudo riforme costituzionali. Si tratta invece di un problema eminentemente politico, culturale, perché l’Italia è rimasta un grande paese (nel senso di realtà provinciale ancorché di grandi dimensioni) nella mentalità, nei modi di concepire la gestione della cosa pubblica (dove impera ancora oggi, nel 2020, il familismo amorale), sicché tutto si arena in un perenne ed estenuante mercanteggiare, spesso condotto sottobanco con mezzi opachi se non illeciti, il che diventa terreno di coltura dei peggiori.
E’ ovvio che in questo contesto di arretratezza non possano funzionare – né si vuole che funzionino, pena l’emancipazione della collettività e la perdita di potere dei ras politici di infima risma che dal sottosviluppo traggono aggio – i servizi essenziali della giustizia e della sanità, ossia ciò che più serve al cittadino per curare la sua salute psicofisica e tutelare i propri diritti ed interessi legittimi. Né si vuole che funzioni il normale accesso al mondo del lavoro, regolarmente ed equamente retribuito, dove siano garantite le tutele della sicurezza e la dignità dei lavoratori, mentre si consentono pratiche speculative e depauperanti del tessuto produttivo nazionale, si consente la devastazione ambientale in nome del profitto.
Il cammino di Beppe Grillo tuttavia non ha condotto alla terra promessa, ma al tradimento delle origini, degli ideali e delle istanze che sono state la ragion d’essere di un movimento a forte componente popolare, strutturalmente distante dalle élite e dai centri di potere. E ciò è avvenuto in soli due anni di governo, con una metamorfosi che non poteva immaginarsi ma della quale vi sono stati già da tempo i segni premonitori. Da una alleanza tecnica con il partito sino a poco prima da sempre ferocemente avversato, il PD, si è presto passati ad una prospettiva di coalizione stabile, se non ad una fusione di fatto, che è effettivamente la “morte nera” di tutte quelle aspettative, ideali, istanze, che ora dovranno trovarsi e coltivarsi altrove.
(11 ottobre 2020)