Next generation Italia

di Salvatore Fiorentino © 2021

LE RAGIONI DELLA CRISI

Il presidente della repubblica, nel rituale discorso di fine anno – svolto in piedi per drammatizzarne i contenuti allarmanti, al netto della “nuova arma” che la scienza ci avrebbe fornito (il vaccino anti-Covid 19) – nel citare alcune ricorrenze storiche che si celebreranno nell’ultimo periodo del suo mandato, ha omesso quella della presa del potere del “fascismo” in Italia, che andrebbe comunque ricordata, ancorché in chiave antifascista, in coerenza con i fondamenti della costituzione repubblicana, anche quale monito ad estirpare in nuce ogni subdola forma di privazione delle libertà dei cittadini.

Se si può nutrire ragionevole – ma mai cieca – fiducia nella “scienza”, non sembra ad oggi esserci modo di confidare nella capacità di interpretazione dell’attuale fase storica allo scopo di valorizzare le risorse, pur cospicue, che saranno a breve messe a disposizione dei paesi europei per la cosiddetta “Next generation UE”. Eppure siamo già dentro quel nuovo ventennio che potrebbe condurre al raggiungimento delle tanto agognate “magnifiche sorti e progressive”, ossia di un radicale cambiamento del paradigma culturale e socio-economico, alla stregua di un nuovo “umanesimo”.

All’epoca dell’individualismo sino alle estreme conseguenze, la nebulizzazione sociale permeata dalla idolatria del denaro, del potere e della vanagloria, dovrebbe seguire un avanzamento della civiltà davvero globale, ad un tempo superando le “illusioni” delle utopie idealistiche, ma nel contempo non cedendo alla dittatura della “ragione”, entrambi estremi coincidenti di un mondo totalitario, senza speranza e senza fedi. A nessuno dovrà essere permesso di trarre vantaggio dallo svantaggio altrui, ad ogni livello: della sfera dell’individuo, dell’intrapresa economica, della politica di uno stato.

Nella prospettiva del Recovery Plan, l’Italia appare in forte ritardo in tema di visione strategica per lo sviluppo socio-economico. Del resto, l’unico piano di rilevanza in tal senso adottato nell’epoca repubblicana rimane ad oggi il “Piano INA-Casa” (1949-1963), prima del quale occorre rinviare al ventennio “fascista”. Difatti, siamo ancora fermi ad una mera e peraltro sbilanciata ripartizione delle risorse (mld di €): “rivoluzione verde” (74,3), “digitalizzazione” (46), “infrastrutture” (27,8), “istruzione e ricerca” (19,1), “parità di genere ed equità” (18,4), “salute” (9).

In detttaglio: 40,1 mld per l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, di cui 22,4 mld per il “superbonus 110%”. Poi 32,4 mld per l’innovazione delle imprese (2,64 per 5G), 23,7 mld per l’alta velocità ferroviaria (compresi 2 mld per messa in sicurezza e monitoraggio digitale di strade, viadotti e ponti). Ed ancora 18,5 mld per la transizione energetica e la mobilità sostenibile (4,7 per fonti rinnovabili, 1,34 per idrogeno verde e 6,95 per trasporto pubblico locale “green”). Infine la salute: 5 mld per assistenza di prossimità e telemedicina e 4 per innovazione e digitalizzazione.

PER UNA NUOVA VISIONE STRATEGICA

L’unica forza politica della maggioranza governativa ad aver sollevato la questione della mancanza di “visione strategica” nell’azione del premier Conte è stata, nel silenzio-assenso generale, quella guidata da Matteo Renzi. Che tale obiezione possa essere o meno strumentale ad un interesse di partito piuttosto che posta nell’interesse generale non rileva ai fini della sua debita considerazione nel merito, anche tenuto conto del fatto che lo stesso Renzi si sia comunque sforzato di proporre soluzioni modificative e integrative, se non del tutto alternative, a quelle elaborate dal governo.

Appare irrisorio lo stanziamento per la salute, fanalino di coda con 9 mld, nel momento in cui occorre risollevarsi dalla crisi generata da una delle più gravi pandemie mai verificatesi, con un numero di morti che si approssima a 80 mila in meno di un anno e che è pertanto destinato a superare la soglia dei 100 mila. Altrettanto anomalo si dimostra il rapporto sbilanciato a favore della spesa per gli incentivi (per lo più per il superbonus 110%) rispetto a quella per gli investimenti che comportano maggiori ricadute sotto il profilo socio-economico. E’ evidente che necessiti un nuovo approccio.

L’identità dell’Italia: quale visione di Paese?
In un modo globalizzato, nell’epoca in cui si cedono parti rilevanti di sovranità nazionale all’Unione Europea, diventa essenziale definire e consolidare l’ “identità-Paese”, valorizzando le qualità oggettive e migliorando ciò che appare in ritardo o negativo. Non si tratta di una banale operazione di marketing, ma di costruire una visione sostanziale, che raccolga e tenga insieme la pluralità di differenze che caratterizzano il Belpaese, agendo sulle componenti materiali ed immateriali. E le radici del futuro italiane non possono che essere la cultura e la qualità della vita.

Investire sulla cultura
Investire sulla cultura significa in primo luogo recuperare l’accezione autentica, ad un tempo classica e proiettata nel futuro, del termine. Cultura significa così capacità di produrre nuovo senso, di concepire soluzioni innovative ancorché legate alla tradizione, mettendo a frutto il millenario “genio” italiano, l’abilità artigianale prima ancora che industriale, la capacità di creare arte e scienza a partire dalla lezione dei grandi maestri del passato, riconoscendo l’attualità del loro insegnamento. L’immenso patrimonio culturale, archeologico e paesaggistico è il giacimento inesauribile a cui attingere.

Investire sul territorio e l’ambiente
La qualità della vita si declina nelle componenti materiali ed immateriali. Il territorio e l’ambiente naturale e costruito le contengono entrambe. E’ ormai evidente come un approccio “tecnicistico” nella progettazione del territorio sia fonte di fallimenti e di degrado, con esiti insostenibili. Le priorità appaiono quelle del recupero e della riqualificazione. Alcuni esempi di piani nazionali: recupero dell’abusivismo edilizio ed ambientale; riqualificazione delle periferie urbane; impiantistica per il riciclo delle acque e dei rifiuti; riqualificazione dell’agricoltura, dell’industria e dell’energia.

Investire sulle infrastrutture materiali
Le infrastrutture costituiscono il sistema vascolare del territorio e dell’ambiente: la crisi delle prime determina inevitabilmente il collasso dei secondi. Il trasporto e la logistica rimangono elementi essenziali, soprattutto in relazione alle peculiarità geografiche e morfologiche dell’Italia, seppur necessariamente integrate dalle infrastrutture digitali. Anche in questo caso occorre predisporre piani nazionali, comprensivi di ogni livello territoriale, integrati da piani di adeguamento con particolare riferimento al dissesto idro-geologico e alla vulnerabilità sismica oltre che alle altre criticità locali.

Investire sulle infrastrutture immateriali
Analogamente, le infrastrutture immateriali costituiscono il sistema nervoso del Paese, con tutto ciò che ne consegue. Sanità, istruzione, giustizia, servizi sociali non possono che trovare una organizzazione nazionale, per assicurare pari condizioni ad ogni regione e città. Dovranno adottarsi riforme organiche e strutturali volte al raggiungimento di un livello adeguato del servizio erogato, prevedendo la formazione del personale, spesso carente più sotto il profilo qualitativo che quantitavo, restituendo al servizio pubblico il ruolo di punto di riferimento e di garanzia dei diritti dei cittadini.

Investire sul patrimonio edilizio pubblico
Che la funzione pubblica venga svolta in edifici inadeguati, spesso addirittura pericolosi, è un fattore di arretratezza inaccettabile. Che ciò accada persino nel caso di edifici strategici o rilevanti, quali ospedali, scuole, tribunali, caserme, uffici pubblici in genere, costituisce una criticità da rimuovere con urgenza. Interventi di messa in sicurezza, adeguamento alle norme antisismiche, antincendio e di abbattimento delle barriere architettoniche sono prioritari rispetto agli interventi di efficientamento energetico, questi ultimi spesso eseguiti a scopo propagandistico in carenza dei primi.

Organicità, coerenza, integrazione e flessibilità degli interventi
In definitiva, affinché il Recovery Plan (PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) – che il governo italiano dovrà presentare in Europa non oltre il prossimo mese di aprile (ma il premier Conte ha parlato di febbraio) – si dimostri “rigoroso ed efficace”, come ha vibratamente raccomandato il presidente Mattarella nel discorso di fine 2020, è necessario che questo strumento sia connotato da una visione strategica in grado di garantire la coerenza, l’integrazione e la flessibilità degli interventi che vi saranno prospettati. Sarà colmato il divario tra quanto (poco) elaborato e ciò che invece occorre?

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