“Stato-mafia” (minority Report)

di Salvatore Fiorentino © 2021

C’era molta attesa per la puntata del 4 gennaio 2021 della trasmissione di RAI3 “Report”, dedicata alla “Trattativa Stato-mafia”. Due ore filate di fatti che attraversano i trent’anni del post stragi degli anni ’90 – le ultime che hanno insanguinato l’Italia – con riferimenti anche agli anni ’80, al tempo della strage di Bologna, secondo le risultanze giudiziarie da attribuire alla loggia massonica P2 di Licio Gelli e ad esponenti della destra cosiddetta “eversiva”. E c’è l’aggiornamento ai fatti più recenti, come le dichiarazioni di Graviano, boss che sembra lanciare messaggi alla politica, e del pentito Riggio, che non convince.

Come si poteva immaginare – e temere – la narrazione della squadra di Report ripercorre la trama accreditata come maggioritaria ed ormai in voga: gli attentati di Capaci e di via D’Amelio furono l’ennesimo episodio della “strategia della tensione” (destabilizzare l’opinione pubblica per garantire lo status quo del sistema di potere) in cui gli attori sono sempre gli stessi, frammenti di mondi diversi ed in parte inconciliabili: lo Stato, le mafie, i servizi segreti, la “destra eversiva”. La tesi di fondo sempre la solita: le stragi dei ’90 hanno favorito Forza Italia, Berlusconi e ciò che rappresentava.

Addirittura, Alfonso Sabella (ex pm a Palermo con Caselli) ritiene che la strage presso lo stadio Olimpico a Roma sia stata fermata per non danneggiare l’ascesa di Forza Italia al potere, dato che da questa forza politica i mafiosi si sarebbero aspettati “riforme” decisive, come l’abolizione del carcere duro e l’introduzione della “dissociazione” invece che della “collaborazione” per ottenere vantaggi e sconti di pena per i boss senza contraccolpi per Cosa nostra. Dal canto suo Antonino Di Matteo (pm nel processo “Trattativa”) non perde occasione per ribadire che Berlusconi pagava Cosa nostra anche da premier nel 1994.

A Roberto Scarpinato (pg di Palermo) spetta invece il ruolo di dipingere il solito affresco mai compiuto, quello dei “sistemi criminali”, dove sono presenti massoneria e Gladio. Ma dopo trent’anni, non resta molto più che il solito déjà-vù, un romanzo senza fine, quasi una favola infantile da raccontare periodicamente all’opinione pubblica per assopirla prima che possa iniziare a ricercare le verità che non possono né debbono essere rivelate, infondendo sull’antimafia (giudiziaria, politica, dell’informazione) un’aura di mistero e quindi di sacralità, che è poi l’ideale brodo di coltura dei suoi profeti e dei suoi santoni.

Ci si perde nei mille rivoli delle eterogenesi dei fini sottostanti alle condotte dei vari protagonisti, talvolta improbabili, con effetto oggettivamente depistante, piuttosto che risalire alle radici dei fenomeni, seguirne le tracce e ricostruire, con sapienza archeologica, le orditure che possano permettere di ricollocare i tanti – troppi – frammenti, rinvenuti e gettati alla rinfusa, nel loro quadro originario, costruendo il mosaico della verità. Che va ricercata nella direzione opposta a quella della destra politica, nel momento in cui dopo la caduta del “muro di Berlino”, i poteri internazionali decidono che in Italia dovranno governare gli ex comunisti.

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