di Salvatore Fiorentino © 2021
Iniziamo col dire che non è più tollerabile la discrezionalità con cui l’ufficio del pubblico ministero (ossia le procure della Repubblica) decide se un fatto integri o meno reato, iscrivendolo nel famigerato “modello 45” (ossia il registro delle notizie non costituenti reato), dato che in questo caso potrà tenerlo nel cassetto ed archiviarlo senza il vaglio di un giudice terzo (il gip). Forse non tutti sanno o ricordano che questo “modello 45” venne istituito grazie ad una circolare del ministero della giustizia al tempo del governo Craxi. E nessun giornale (neppure quelli sedicenti legalitari) ha mai reso noto che in anni recenti il ministero della giustizia ha accertato il diffuso uso ed abuso di questo “modello 45”.
Così come non sono tollerabili i depistaggi (colposi o dolosi poco importa), le archiviazioni senza una motivazione che appaia verosimile, la sciatteria che ormai pervade gli organi di giustizia, sino alla suprema corte, dove una sentenza contraddice l’altra. Dopo gli scandali che hanno minato persino l’organo di autogoverno delle toghe, il CSM, in chi dovremmo riporre fiducia? Nei Davigo che pur di incollarsi alla poltrona (dello stesso CSM) non hanno esitato ad accusare a mezza bocca (un magistrato se sa deve dire tutto) i colleghi con cui avevano fondato una corrente per scacciare tutte le altre? O nei Gratteri che affermano candidamente che la tempistica dei provvedimenti è condizionata dall’agenda politica?
Oppure dovremmo ancora tollerare i soloni dell’antimafia come gli Scarpinato, che nel momento in cui pronunciano un discorso solenne in onore di Paolo Borsellino (che nell’ultima drammatica conferenza pubblica ammonì a rifiutare il puzzo del compromesso, a non chiedere mai raccomandazioni) risultano aver chiesto appoggio ad un personaggio da sempre ambiguo come Antonello Montante, nientemeno che per ottenere la promozione a procuratore generale di Palermo, ossia il distretto giudiziario che dovrebbe più di tutti essere impermeabile a condizionamenti di ogni sorta nella lotta all’infiltrazione della subcultura mafiosa nella società, nei suoi gangli vitali? E’ ora di dire basta.
Se chi dovrebbe difenderci, se chi dovrebbe onorare la memoria dei tanti caduti per l’ideale di una società liberata dal malaffare e dalla collusione, tradisce il proprio dovere (colposamente o dolosamente non importa), cedendo alle sirene della vanagloria, del potere, lasciandosi offuscare dal delirio di onnipotenza, non ci può essere che una condanna senza appello. Invece si assiste ad un relativismo etico che appare ripugnante ancora di più del gesto criminale che lo sottende. Con quale autorità e con quale coraggio il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, può istituzionalizzare il diritto del magistrato a chiedere, “anche in forma petulante”, la raccomandazione?
E’ chiaro che in questo quadro di squallore dove i presunti migliori si dimostrano alla prova dei fatti impresentabili, si aprano le danze per ogni delinquente che voglia fare man bassa delle istituzioni pro domo sua e dei suoi compari. Ecco che l’Italia diventa una gigantesca “cosca”, dove la regola è la legge del più forte, di chi possiede un arsenale di armi di ricatto, di minaccia, di intimidazione. Un manipolo di pochi spregiudicati che, con la collusione di una moltitudine di fiancheggiatori che ci tengono ad apparire “onesti”, riesce a sottomettere un intero popolo. E chi denuncia, chi protesta, chi si ribella, viene visto con malcelato fastidio, se possibile schiacciato, da coloro che traggono aggio da questo brodo di coltura incivile.