Il giullare

di Salvatore Fiorentino © 2021

Dallo yoghurt degli anni ’80 alle fragole dei ’20 del secolo successivo il passo è breve. Conte o Draghi purché “se magna”. C’è sempre uno sviluppo “sostenibile” da sostenere. Decenni di ambientalismo ideologico hanno mostrato che tutto ciò che si ammanta di “green” è solo la copertura, l’alibi, il sotterfugio per perseguire obiettivi di segno opposto. E’ stato un ministro “ambientalista” a cinque stelle, assisistito da un “facilitatore” siciliano che viene pagato dai contribuenti per scrivere post sui social network affinché tutti si convincano che “verde è bello”, ad ipotizzare la dislocazione delle scorie nucleari accanto a siti archeologici di rilievo come quello di Segesta, o a discapito di colture pregiate.

Intanto nessuno, né ministri ambientalisti né tanto meno facilitatori ambientali, si preoccupa seriamente della profonda crisi del sistema dei rifiuti in Sicilia, ormai prossimo ad una “polveriera ambientale”, dove dietro ci sono intrecci indicibili tra politica, mafie e poteri occulti di alto rango, con “imprenditori” del settore che spadroneggiano senza che gli organi istituzionali abbiano il pudore di intervenire a riportare nell’alveo della “normalità” il rapporto, ormai compromesso e persino ribaltato, tra pubblico e privato, con il secondo ad imporre le sue condizioni capestro al primo forte di un potere contrattuale assolutamente abnorme per via della strutturale carenza degli impianti per il recupero dei rifiuti. Cui prodest?

Se il neo giullare che ama vestirsi dei panni dell’onestà, dell’ambientalismo e adesso del relativismo spinto sino alle estreme conseguenze (riciclando contro ogni legge di natura persino un “rifiuto indifferenziato” della politica come Mastella) spera di convincere le pecore che iniziano a scappare dal suo ovile che tutto e il contrario di tutto può trovare giustificazione attraverso il solito colpo di teatro tra comico e grottesco, stavolta resterà profondamente deluso, solo e disperato. Non basta tirare fuori il vecchio arnese dello “sviluppo sostenibile” (slogan peraltro logoro e vetusto rispetto alle più avanzate frontiere del “paesaggismo culturale”) per riciclare gli “impresentabili” di ieri e dell’altro ieri.

Parafrasando un maestro del teatro, potremmo dire che è davvero beato quel popolo che non ha bisogno di comici. Perché la risata è salutare solo se è spontanea e quindi liberatoria, mentre con i giullari di tal fatta diventa indotta, forzata, quindi compromissoria e denotante un rapporto di sudditanza verso il potente di turno, che a parole si dice di voler abbattere ma che con i fatti si serve, sino a cadere nelle più evidenti contraddizioni che è poi sempre più difficile, se non impossibile, spiegare alla platea degli spettatori-elettori quando questi iniziano a rumoreggiare, a fischiare, a urlare meritati improperi, sino al più classico lancio, virtuale o del tutto reale, degli ortaggi e delle uova andate a male, ancorché provenienti da agricoltura “sostenibile”.

Ma i giullari di cotanta specie sono dolosamente consapevoli che ci sarà sempre una buona parte di utili idioti, di illusi sino allo stremo, che seguirà le giravolte dell’Arlecchino a cinque stelle, servente non due ma molteplici padroni, come i colori della sua casacca, giallo-verde, giallo-rosa, giallo-azzurro, nulla cambia. Ed è anche vero, come osservano i più acuti, che dopo lo sfacelo di una classe che più che “dirigente” può ben definirsi “digerente”, persino “qualunque cosa” è meglio di essa. Ma, fallito miseramente l’anelito dell’uomo “qualunque” sotto le spoglie pentastellate, è riemerso il volto del potere più sordido che ora, paradosso dei paradossi, chiede l’appoggio del suo nemico giurato, quel popolo che vuole sottomettere.

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