di Salvatore Fiorentino © 2021
C’è un buffo signore che forse si crede il padrone di un movimento che non gli assomiglia per niente e che oggi fa il lavoro sporco assegnatogli dal profeta decaduto Beppe Grillo. Uno cresciuto a Brancaccio, il famigerato quartiere di Palermo, dove si impara subito da che parte stare, da quella del bene o del male (tertium non datur), uno che ha fatto il liceo scientifico ma non è riuscito a laurearsi in matematica, così è finito a fare l’assistente giudiziario a Brescia. Ma a quanto pare la passione per il pallottoliere non lo ha mai abbandonato, visto come conta gli espulsi dalla creatura che fu di Gianroberto Casaleggio, forzando i poteri transitori che gli sono stati affidati, peraltro già in scadenza da tempo.
Poi c’è chi ha snaturato il movimento, impadronendosene, approfittando della prematura morte del co-fondatore che ne era la vera anima nobile, un comico che non fa più ridere nessuno, neppure quando si inventa ridicoli quesiti da pubblicare sulla piattaforma Rousseau, e neanche quando cambia rotta e strategia dalla mattina alla sera con giravolte giustificate da slogan sempre più criptici perché insensati e da seguire per atto di fede, quali utili idioti, quali adepti di una setta qualunque, dove è vietato pensare, discutere, assumere posizioni critiche, coltivare il dissenso, esercitare la dialettica, animare il confronto, perché si deve solo obbedire al grande vate e senza neppure capire il perché.
Il senso di fallimento, di irreversibile mortificazione di ogni tensione ideale e valoriale, pervade ormai una formazione politica che era nata come emblema dell’energia vitale del popolo che voleva riscattarsi da giogo del potere, come simbolo della forza inarrestabile che avrebbe dovuto abbattere le mura dei palazzi oscuri e impenetrabili, imprimere un cambiamento epocale, rivoltare l’Italia dalla parte degli onesti e dei lavoratori, spazzare davvero corrotti e speculatori, parassiti e chiunque fosse stato compromesso col malaffare, ripristinare valori come solidarietà ed equità, giustizia sociale, lanciare e vincere la sfida definitiva alle mafie attraverso la risolutiva rimozione di ogni collusione con la politica.
Così, da sole irragiante la potenza di un nuovo sistema che avrebbe cambiato le sorti del Paese, dopo appena due anni di governo, questo movimento si è miseramente oscurato in un gelido satellite orbitante attorno a quel coacervo di poteri che aveva additato urbi et orbi come gli avversari se non nemici giurati, in un inarrestabile processo di implosione gravitazionale che lo ha fatto sprofondare prima verso il PD e adesso verso l’addensato di quel potere che Draghi – frontman della massofinanza internazionale che con malcelata resipiscenza gioca il suo prestigio indossando il mantello del socialdemocratico – è chiamato a rappresentare, attuandone strategie e programmi, sotto l’alea della pandemia.
Ma, come la storia insegna dai tempi in cui l’umanità mise piede sul pianeta, c’è sempre una minoranza di giusti che regge il mondo, a cui viene affidata l’ultima speranza e grazie al sacrificio dei quali il mondo continua a girare. Chi si oppone ad ogni dittatura, da quella esercitata col pugno di ferro a quella camuffata in un simulacro di democrazia, sconta sempre in anticipo il prezzo più alto, ma verrà ripagato dalla gratitudine delle successive generazioni, che fisseranno nella memoria quello che oggi appare un semplice gesto di dissenso, quel no pronunciato pubblicamente nella solitudine che si apre attorno alla marea degli assenzienti, a coloro che seguono la stessa corrente che domani li disperderà.