di Salvatore Fiorentino © 2021
Sino ad oggi era noto che la moglie di Cesare dovesse essere sempre al di sopra di ogni sospetto. Tuttavia, i tempi cambiano e la democrazia si è trasferita dal suo luogo elettivo, la piazza (ἀγορά), al cortile, quello tipico di un condominio litigioso. Così le cronache ci dicono che la moglie del procuratore generale presso la Corte di Cassazione (ossia la carica apicale della magistratura requirente italiana), membro di diritto del C.S.M., abbia segnalato all’augusto consorte che un componente laico dello stesso C.S.M. si recava presso l’avvocato difensore di Luca Palamara il giorno prima dell’audizione dello stesso, sempre presso il C.S.M., dato che lo aveva visto varcare il portone del condominio, altrettanto augusto, dove risiede il sommo procuratore e ha – ironia della malasorte – sede lo studio legale del difensore del disgraziato Palamara.
Sicché il procuratore generale (Giovanni Salvi) – colui che per sua stessa ammissione era commensale abituale (ma solo di giorno) di Luca Lotti e che secondo Palamara avrebbe invitato quest’ultimo su una lussuosa terrazza romana (sempre alla luce del sole) per “autopromuoversi” alla carica di vertice che poi conseguirà – avrebbe trasmesso la segnalazione “condominiale” raccolta sull’anomalo comportamento di quel consigliere laico (tale avvocato Alessio Lanzi, quotato Forza Italia) nientemeno che al Comitato di presidenza del C.S.M. di cui fa parte insieme al vicepresidente Erminio Legnini e al primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio. Da qui sarebbe originata la richiesta di due consigliere togate del C.S.M. (una della corrente di sinistra a cui afferisce Salvi, l’altra davighiana) di allontanare il “reo” Lanzi.
Nulla questio, invece, per gli altri togati della prima commissione, che hanno ritenuto irrilevante la “visita” del consigliere laico presso lo studio del difensore di Palamara, potendo quindi questi ben partecipare all’audizione (in quanto libera e non assistita dal difensore) dell’ex potente collettore delle “autopromozioni” togate, solo di recente “legalizzate” grazie a una direttiva – invero contestata da una parte ancorché minoritaria della magistratura che invoca rotazioni e sorteggi in luogo di cordate e cooptazioni correntizie – adottata dallo stesso procuratore generale Salvi. E quale sia l’effettivo conflitto di interessi non è ora chiaro: perché se Salvi lo ravvisa – grazie alla vigile consorte – a carico del consigliere laico Lanzi, non v’è chi non veda quello che in questa vicenda condominiale sembra rivoltarsi contro l’accusatore in ermellino.
Fatto sta che il buon Lanzi, vista l’aria sinistra (in ogni senso) che tirava, chiedeva di transitare verso i più tranquilli (per ora) lidi della quinta commissione del C.S.M., ben consapevole che ogni conflitto contro la corrente progressista togata è battaglia persa in partenza (soprattutto per uno che porta lo stigma di Forza Italia), dato che questa è dominante nelle scelte e, soprattutto, nelle procure della repubblica che contano, con buona pace dei davighiani che ancora credono che far prevalere l’onestà sia facile come rivoltare un calzino, strumentalizzati senza che neppure se ne rendano conto, così sono candidi. Del resto la condomina in fabula non sarà la moglie di Cesare, ma la cognata si, visto che l’altro Salvi, quello che succedette nientemeno che a Luciano Violante nel dipartimento giustizia del PCI-PDS-DS, è il fratello di Giovanni.
Che le sorti della democrazia, con la cacciata condominiale dell’incauto consigliere laico del C.S.M., avvocato di fede berlusconiana, fossero salvate (nomen omen) dalla cognata di Cesare (Salvi) non lo potevano prevedere neppure i migliori aruspici latini. Così, chiuso l’incidente di percorso accaduto con Palamara, che era riuscito nel colpaccio di escludere la corrente di sinistra delle toghe dalle cariche romane di vertice della magistratura, la giustizia democratica può riprendere il suo corso, con il procuratore di Palermo – che mira a subentrare al vacillante Prestipino travolto dai ricorsi amministrativi – ormai votato alla caccia del leader leghista Matteo Salvini, mentre il procuratore di Milano bracca il presidente (sempre leghista) della regione Lombardia Fontana, in un revival di “mani pulite” di cui si sentiva la nostalgia.