Conte è la fine del MoVimento

di Salvatore Fiorentino © 2021

Ma chi ha deciso che l’ex premier Conte dovesse assumere i panni non solo del leader di quello che sarà il M5S, ma persino i poteri del rifondatore? Il popolo pentestellato? Il voto degli iscritti sulla piattaforma (che sarà rottamata) Rousseau? Il vate padre-padrone Grillo? I parlamentari? Gli amministratori locali? Il partito democratico? I servizi segreti? Putin? Biden? Non è dato saperlo, con molte scuse a quella trasparenza tanto invocata, ma sulla carta, così come sulla carta rimangono i principi, troppi e persino ovvi, sino al punto che chi ascolta ha la sgradevole sensazione di essere preso in giro: chi mai oggi (ri)fonderebbe un partito – o movimento – violando i diritti della persona, dei lavoratori e dell’ambiente? Conte ci garantisce che il “neo-movimento” li rispetterà. Ma davvero? Eccola qui la rivoluzione che mancava.

Se questo è l’inizio, allora somiglia alla fine. Del Movimento che fu, con tutti i suoi pregi e difetti, quello che raggiunse nel 2018 il traguardo del 33%, seminando il panico nell’establishment, presidente della repubblica compreso, che difatti cercò di ostacolare il governo “politico” a guida pentastellata, con un incarico già pronto per il tecnico di fiducia Cottarelli, poi sfumato perché era davvero troppo persino per una repubblica malandata come quella italiana. E Mattarella al suono della parola “impeachment”, giustamente pronunciata da Di Maio, fu costretto ad una ritirata strategica, accontentandosi di incassare l’estromissione del ministro designato Savona, ritenuto troppo “anti-europeista”, il che ha comunque lasciato una macchia sulla formazione del governo “giallo-verde” ed ingenerato pesanti sospetti sulla sua fine prematura.

E’ difatti probabile che Matteo Salvini sia stato minacciato, perché si addivenisse alla transizione “democratica” del governo “giallo-rosa” con dentro il Partito Democratico al posto della Lega, dato che il primo deve sempre governare anche se perde le elezioni. Ma con il governo Draghi e la (ri)fondazione del M5S affidata all’ex premier, si chiude il cerchio della restaurazione sempre “democratica”, a cui lo stesso Grillo ha dovuto soggiacere, verosimilmente anch’egli minacciato, ora nelle mani della regia professorale del duo elitario Letta-Conte, dalla facciata rassicurante e serena, garantista dei diritti delle donne, dei lavoratori, dell’ambiente, che fa tanto “left & green washing”, salvo poi flirtare con i capitalisti d’accatto d’italica specie, quali i Benetton, i De Benedetti, per tacere dei parvenu alla Cairo e dei loro giornalari cantori de “La 7”.

Nella video conferenza, Conte ha ammonito chiaramente che adesso cambierà tutto. Come a dire che finora si è scherzato e che adesso si inizia a fare sul serio. Non si tratterà di un restyling, ma di una pesante ristrutturazione dalle fondamenta. D’ora innanzi sarà richiesta non solo l’onestà, ma soprattutto competenza e capacità per assumere incarichi rilevanti nell’amministrazione pubblica. “Bibitari” e “cuori di panna” sono avvisati. E non basterà più saper scaldare le piazze con slogan colorati, ma sarà necessario mettere in pratica una cultura di governo secondo una precisa collocazione politica nel centrosinistra, superando l’approccio a-ideologico che era uno dei tratti genetici del M5S, né di destra né di sinistra. Appare quindi evidente che il M5S alla fine sia servito per raccogliere il voto di protesta e riportarlo in dote all’esangue PD.

Ma la parte meno credibile del discorso di Conte è quella – non nuova per una formazione politica che si proclama a difesa delle fasce deboli, ma che è guidata da intellettuali borghesi – in cui si evidenzia come l’afflato socialista sia solo una posa culturale esibita e non il portato di un vissuto effettivo, il che non potrà che condurre, come si è sino ad oggi verificato, ad una frustrazione degli obiettivi tanto enfaticamente e genericamente proclamati, ossia quelli di una società più equa e solidale, più rispettosa dell’ambiente e dei diritti civili, che metta al bando le discriminazioni di ogni sorta. Non basta enunciare le transizioni ecologiche e digitali, né prospettare un nuovo statuto dei lavoratori o una carta dei diritti degli imprenditori, per dare corpo ad un cambiamento epocale. Che difatti non si intravede all’orizzonte.

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