di Salvatore Fiorentino © 2021
Vedere e sentire nel 2020 – appena due anni dopo le elezioni del “cambiamento” – che esponenti del M5S propugnino qualcosa che assomiglia pericolosamente ad una fusione politica di fatto con il PD, sorprende, ma non troppo. Soprattutto dopo l’inarrestabile dilapidazione del patrimonio di consensi elettorali raggiunto con il 33% alle consultazioni politiche e, conseguentemente, l’accesso alle stanze del governo del Paese. Eppure il vate e garante della dottrina pentastellata, Beppe Grillo, lo aveva annunciato urbi et orbi nel momento che impresse la nuova rotta dopo la caduta del “Conte I”: il futuro è in un progetto comune con la “gioventù democratica”, a cui si era appellato con un accorato videomessaggio.
Una gioventù che si immaginava casta e pura rispetto ai peccati originali di un partito nato in laboratorio, da un innesto forzato tra ex democristiani ed ex comunisti, sicché con la nuova linfa grillina si sarebbe potuto andare lontano, volare alto e progettare il futuro. In questa visione aulica e progressista si prevedeva che il M5S si sarebbe dovuto “biodegradare”, come un sacchetto della spesa (in questo caso contenitore di milioni e milioni di voti di protesta ed incipiente ribellione popolare) che avesse esaurito la sua funzione strumentale. Sicché in tempi di cupio dissolvi, tra espulsioni e defezioni, capi politici azzoppati e aspiranti leader della rinascita che non verrà, si salva solo chi ha seguito un percorso indipendente.
Se questo doveva essere il traguardo, allora si può dire che la partenza fu davvero una comica. Che come tutte le farse ha un risvolto tragico oltre a quello grottesco, oggi rappresentato dalla instaurazione di un “regime democratico”, bloccato e senza anima, dal quale al più attendersi una buona amministrazione dei beni pubblici, ma che non potrà mai avere spessore politico. Soprattutto con un parlamento amputato per saziare furbescamente le folle inferocite, distratte dalla consapevolezza di essere state defraudate dal diritto di scegliere i propri rappresentanti, “deputati” a scrivere le leggi che hanno diretta ricaduta sulla vita dei cittadini, dai diritti fondamentali sino agli aspetti più banali e persino inutili.
Un regime che, come la ormai deflagrata autodelegittimazione della magistratura ha mostrato, non dispone di minimi contrappesi né di anticorpi che lo possano bilanciare a salvaguardia dei diritti di chi è tenuto a rispettarne le regole a pena di sanzioni civili, amministrative e penali. Il che appare evidente nel momento che persino gli organi di informazione sedicenti illuminati e democratici, sia privati (si fa per dire) che pubblici (si fa ancora per dire), non fanno altro che, per un verso, attaccare a testa bassa gli spaventapasseri delle “destre” e, per altro verso, strimpellare improbabili laudatio all’indirizzo delle magnifiche sorti e progressive di questo regime dipinto come il migliore dei mondi possibili.
Perché come insegnava qualcuno che passava per caso, non c’è peggior dittatura di quella in cui i cittadini siano indotti a credersi liberi. Liberi di sottostare alle mille facce di un solo potere, liberi di essere derubati quotidianamente del loro tempo, della loro vita, della loro libertà. Liberi di essere raggirati da una giustizia progettata a tavolino per non funzionare, perché si perpetui la millenaria legge del più forte, dove la regola si applica implacabilmente per colpire il povero e il debole, il più delle volte indotto se non costretto a delinquere da uno Stato che ha generato e legittimato periferie materiali e culturali aberranti e criminogene, disparità ed ingiustizie sociali abissali. Mentre la stessa legge si addomestica per i potenti.
(2 ottobre 2020)