Morra e l’antimafia filosofica

di Salvatore Fiorentino © 2021

Dopo 17 anni dall’omicidio dell’urologo Attilio Manca, nessun magistrato di nessuna procura della repubblica d’Italia ha mai sentito i genitori della vittima, addirittura estromessi dal processo contro la donna che avrebbe fornito la droga ritenuta causa della morte del medico siciliano, salvo che la recente sentenza d’appello ha statuito l’insussistenza di questo fatto. A colmare, seppur parzialmente, questa incredibile anomalia è stata la Commissione nazionale antimafia, che l’ 1 aprile 2021 ha svolto una audizione della madre di Attilio Manca e del legale che assiste la famiglia, l’avv. Fabio Repici. Sia l’esposizione della signora Manca che dell’avvocato Repici sono apparse chiare e precise, a parte lo strascico polemico con cui il legale ha fatto breve cenno al pregresso contrasto avuto con il sen. Gaetti sull’attendibilità di un pentito.

Poiché la Commissione nazionale antimafia ha poteri equivalenti a quelli dell’autorità giudiziaria, sembra che finalmente ciò che non è stato esaminato con la dovuta cura dalla magistratura lo possa essere quanto meno in una sede istituzionale che potrà giungere a conclusioni non prive di conseguenze concrete, laddove si dovessero ravvisare ipotesi di reato, con particolare riferimento alla prospettazione delineata dal legale della famiglia Manca, che appare del tutto verosimile specialmente alla luce di una lettura retrospettiva dei fatti, secondo cui l’urologo sarebbe stato vittima di un omicidio di “Stato”, per aver egli riconosciuto il boss Bernardo Provenzano dopo averlo operato, e ciò nell’ottica di quella che viene definita come “Trattativa Stato-mafia”, in cui il capo mafia avrebbe goduto di protezioni istituzionali.

Va pertanto dato atto al presidente Nicola Morra, senatore in bilico tra dissidenza ed espulsione dal Movimento Cinque Stelle dopo il voto contrario sulla fiducia al neo governo Draghi, di aver consentito la trattazione di una questione che certamente può ben annoverarsi tra i tanti “misteri di Stato” ad oggi irrisolti, come accade sempre quando in campo agiscono, oltre ai protagonisti della mafia, anche figure, deviate o meno, degli apparati dello Stato, siano essi esponenti delle forze dell’ordine, della magistratura o dei servizi di sicurezza. Si spera solo che Morra, oggettivamente indebolito politicamente ed anche da qualche recente polemica sulle vicende della sanità calabra, abbia la forza di poter andare sino in fondo cosicché lo Stato possa dare risposte definitive ad una famiglia straziata dal dolore, che invoca verità e giustizia.

E proprio perché il presidente Morra è un professore di filosofia, sempre attento a misurare e scegliere le parole del suo eloquio forbito, non può sfuggirgli che la ricerca della verità è un sentiero faticoso e insidioso, che può talvolta comportare la deviazione da questioni scomode o indicibili che invece è necessario attraversare per giungere alla meta effettiva. Per questo, quando il presidente della Commissione ha annunciato la prossima audizione dell’ex magistrato Luca Palamara, non ha convinto la condizione pregiudiziale dallo stesso presupposta: “naturalmente con gli accorgimenti più volte preannunciati in relazione ai perimetri relativi ai temi su cui il dott. Palamara dovrà essere audito. A tal proposito assicuro che provvederò ad effettuare un controllo rigoroso sia su quanto l’audito riterrà di dire sia sulle domande che gli si potranno rivolgere“.

La data dell’audizione non è ancora fissata, e si può immaginare che si metteranno in moto forze e poteri per impedirla, dato che Palamara ha anticipato che ritiene di dover riferire su questioni delicatissime che potrebbero mettere in discussione la storia dell’antimafia giudiziaria dell’ultimo quarto di secolo, ossia in quel peculiare periodo storico che va dal dopo stragi degli anni ’90 ai tempi odierni, con possibili rivelazioni su alcuni magistrati che hanno svolto ruoli di primissimo piano nelle procure della repubblica più rilevanti del paese, con particolare riferimento a Palermo, città simbolo della mafia e dell’antimafia così come Milano lo fu per “Tangentopoli” e “Mani pulite”. Con sullo sfondo quel “ricatto alla palermitana” che Palamara dovrà chiarire alla Commissione. Sempre che dell’antimafia non resti solo la filosofia.

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