“Ricatto alla palermitana”

di Salvatore Fiorentino © 2021

I misteri delle stragi degli anni ’90, le pagine ancora oscure di quel mondo che si è rivelato essere della “falsa antimafia”, le anomale latitanze dei boss mafiosi Riina, Provenzano e Messina Denaro, i rapporti tra istituzioni e mafia, potrebbero avere una comune password: “ricatto alla palermitana”. Non è chiaro a cosa alludessero Luca Palamara e l’ex pm romano Stefano Fava quando facevano riferimento, nelle loro conversazioni private, a questo particolare “ricatto”, ma potrebbe essere una delle ragioni per cui sono state frapposte resistenze avverso l’audizione dell’ex leader dell’ANM e consigliere del CSM presso la commissione nazionale antimafia che, anche a causa di un indebolito presidente, sembra saldamente nelle mani di chi negli ultimi venticinque anni dell’antimafia ne ha fatto professione, acquisendo posizioni di potere.

La questione riguarderebbe le vicende occorse presso la procura della repubblica di Palermo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, e che avrebbero avuto una improvvisa accelerazione in quei cinquantasette giorni trascorsi dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio. Nella vera causale sottostante all’uccisione di Paolo Borsellino sarebbe quindi celata la chiave di lettura dei misteri ancora non svelati. A questo proposito, tutto pare convergere verso le indagini che Borsellino stava svolgendo in quel periodo, quale procuratore aggiunto di Palermo, ma senza la delega ad indagare sulla provincia capoluogo, che gli fu conferita dall’allora procuratore capo solo il 19 luglio 1992, ossia il giorno della sua morte. Secondo l’ex pm palermitano Alberto Di Pisa, Borsellino fu ucciso perché molti temevano l’indagine sul dossier “mafia e appalti”.

Indagine che ebbe una definizione quanto meno singolare. Dopo che lo stesso Di Pisa ne venne estromesso a seguito della falsa accusa di essere “il corvo” del Tribunale di Palermo, il fascicolo passò di mano in mano, sin quando, il 13 luglio 1992, gli allora sostituti procuratori Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte ne chiesero l’archiviazione, vistata il 22 luglio dal procuratore capo Giammanco ed accolta acriticamente dal gip La Commare il successivo 14 agosto con un provvedimento di due righe su un modulo prestampato. Ma stando a quanto è emerso dalla desecretazione dell’audizione della sorella di Falcone il 31 luglio 1992 al CSM, Borsellino seguiva una pista che lo stava conducendo a svelare gli intrecci tra mafia, politica ed economia: “altro che Tangentopoli!” – avrebbe rivelato a Maria Falcone – “stiamo arrivando, state tranquilli”.

Ma forse qualcuno tanto tranquillo non era. E la “Trattativa Stato-mafia” a questo punto sembra davvero una falsa pista, o addirittura un “depistaggio” teso ad avvalorare la tesi “politica” di un coinvolgimento del centrodestra, il quale avrebbe negoziato un nuovo pactum sceleris con la mafia, subentrando alla vecchia classe politica collusa, che in Sicilia si riteneva riconducibile alla corrente democristiana guidata da Giulio Andreotti, non a caso messo sotto accusa da Gian Carlo Caselli non appena divenuto procuratore di Palermo. Mentre il dossier “mafia e appalti”, diversamente, sembrava puntare verso aziende di rilievo nazionale legate in primo luogo con le forze politiche dell’opposizione di sinistra, la quale si preparava ad assumere il governo del paese a seguito del ciclone di “Mani pulite” che aveva spazzato via la “prima repubblica”.

Quindi, questo “ricatto alla palermitana” riguarderebbe passaggi oscuri ed inquietanti che avrebbero caratterizzato le vicende giudiziarie palermitane in quegli anni decisivi per le sorti politiche dell’Italia, sicché dopo la catena dei magistrati uccisi (Terranova, Costa, Chinnici, Falcone e Borsellino) si sarebbe consolidato un sistema di ricatti incrociati e depistaggi la cui efficacia si riverbererebbe sino ai tempi odierni, con la conseguenza che le pagine dell’antimafia vergate in questo ultimo quarto di secolo sarebbero da riscrivere così come quelle sentenze, solo recentemente smentite, che avevano condannato gli innocenti e graziato i colpevoli. Ma i verbali desecretati delle audizioni al CSM del 1992 sono stati acquisiti dal procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, per l’accusa nel processo d’appello “Trattativa Stato-mafia”.

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