Processo Salvini, la politica indaghi su Palermo

di Salvatore Fiorentino © 2021

Va premesso che tutti coloro che vogliono realmente una giustizia effettiva, e non solo formale, concordano sul fatto che non debba mai aleggiare alcun pregiudizio (né giudizio) politico (né di altra specie) quando ci si trova innanzi al potere giudiziario della Repubblica. Ma lo scivolamento “politico” è nei fatti, a cominciare dal coinvolgimento del supremo organo di rilevanza costituzionale, qual è la “Consulta”, laddove da alcuni anni si è insinuato il vizio, dapprima inconcepibile, di nomine “politiche” alquanto inopportune (in primis quelle di parlamentari di lungo corso come Giuliano Amato e Sergio Mattarella), per finire con gli scandali che hanno ultimamente travolto il C.S.M., evidenziando pratiche di “autogoverno” fortemente piegate alla “ragion politica” di parte.

Va parimenti premesso che tutti coloro che vogliono realmente una democrazia effettiva, e non solo formale, concordano sul fatto che la competizione politica non debba essere influenzata né tanto meno condizionata da alcun altro potere, a cominciare da quello giudiziario, e specialmente nel momento che quest’ultimo dimostri manifestamente di aver perso la capacità di “autogoverno” affidatagli, quale garanzia ma anche come dovere da onorare, dalla Costituzione, sempre più disattesa nella sostanza e non di rado elusa anche nella forma. E nonostante il susseguirsi dei clamorosi scandali che hanno turbato il potere giudiziario, nulla sembra cambiare nella consapevolezza della magistratura associata, che non sa andare oltre i generici buoni propositi finendo per ricadere nei vizi ormai atavici.

Il processo a Salvini, per il caso “Open Arms”, è solo la goccia di un mare in tempesta, ma c’è da dire che la misura del vaso, per quando senza fondo, è ormai colma e lo stesso ha traboccato. Vero è che non si può giudicare se non si sono letti gli atti, ma è anche vero che qualcosa si è capito leggendo le trascrizioni delle chat del capro espiatorio designato, tale Luca Palamara, dove si lanciava il grido di guerra: “Salvini ha ragione, ma va colpito”. E la capitale d’Italia, quando si tratti di fatti di mafia o di personaggi politici che contano (da Andreotti a Salvini) rimane sempre Palermo, in quel palazzo di giustizia le cui mura hanno sentito le frasi più indicibili custodendo i veri misteri d’Italia, dove Falcone e Borsellino dovevano nascondersi nei sotterranei, per i quali non si è fatta ad oggi giustizia.

Tra “ricatti alla palermitana” (frase criptica ed inquietante che ricorre nelle chat palamariane, che andrebbe decifrata quanto prima) e “trattative Stato-mafia”, dal periodo post stragi dei ’90 a Palermo si è consolidato un potere tutto togato che ha finito per irraggiarsi nelle sedi requirenti di quasi tutta la Sicilia, laddove sono approdati magistrati cresciuti dentro il “palazzo dei veleni”, non senza preoccupanti contiguità, ad oggi ritenute prive di alcuna rilevanza penale e/o disciplinare, con il famigerato “sistema Montante”, che dell’antimafia aveva fatto una scimitarra per decapitare le teste dei dissenzienti rispetto a pratiche che con la legalità avevano ben poco a che spartire. E adesso si inventa la nomina di Gabriele Paci quale procuratore capo di Trapani, per allontanarlo da Caltanissetta?

Perché a Caltanissetta deve andare un “palermitano”? Fatto anomalo e non nuovo, dato che Caltanissetta è sede competente ad indagare sui magistrati del capoluogo regionale, come è avvenuto per il “caso Saguto”. Ed è un caso che il “palermitano” Lo Voi chieda (ed ottenga) di processare Salvini per fatti analoghi a quelli che sono stati invece ritenuti non penalmente rilevanti dalla procura di Catania? Ed è ancora un caso che Lo Voi sia rientrato in corsa per la procura di Roma, dopo che un’altro “palermitano” (Prestipino, delfino di ancora un altro “palermitano”, peraltro eccellente come Pignatone) è stato travolto dai ricorsi amministrativi in quanto ritenuto meno titolato di altri concorrenti? E’ un fatto senza precedenti, ma occorre una commissione d’indagine parlamentare su Palermo.

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