di Salvatore Fiorentino © 2021
Chi non era ancora nato nel periodo della catastrofe nazi-fascista non può capire. Non sono i racconti dei nonni, le lezioni apprese dai libri di scuola o dalle testimonianze di chi a quel tempo lottò per la libertà a poter restituire viva l’effettiva dimensione della realtà vissuta. Le celebrazioni hanno senso se servono a nutrire la memoria. E la memoria ha senso solo se serve per non ripetere gli errori del passato, perché da questi errori si tragga insegnamento. Ma, al di là della retorica delle parate di Stato, occorre oggi chiedersi se c’era libertà prima e dopo il “Ventennio” e, soprattutto, se c’è libertà oggi. E non ci riferiamo alle boutade dozzinali di Salvini, che soffia sul fuoco dell’esasperazione dei cittadini privati, per causa di epidemia maggiore, delle normali attività della vita, essenziali per questa.
Il riferimento è, diversamente, all’effettivo grado di democrazia e quindi di libertà che i cittadini del cosiddetto mondo evoluto, quello occidentale, posto a modello antitetico di quello di altri paesi ritenuti dittatoriali (si pensi alla Russia o alla Turchia, per non parlare della Cina), possono misurare al netto dell’emergenza pandemica. La prima domanda da fare è quella che riguarda il modello socio-economico, quello dello sviluppo a prescindere, poi solo nominalmente ribattezzato “sostenibile”. Dovrebbe essere chiaro a tutti che uno sviluppo infinito non può esistere, perché sulla base delle attuali conoscenze non è possibile creare energia (e quindi ricchezza) dal nulla, mentre tutto si trasforma, motivo per cui se vengono bruciate risorse in modo irreversibile il futuro è il deserto globale.
E’ del tutto normale che una specie, quella umana, aspiri a sopravvivere il più lungo tempo possibile, ma proprio per questo occorre che non sia essa stessa la causa della autodistruzione e, soprattutto, che questa sopravvivenza non sia un privilegio di pochi a danno degli altri. Per questo è evidente che il miraggio dello “sviluppo”, sostenibile o meno, non sia altro che una strada fuorviante che conduce all’incremento della ricchezza assoluta ma contemporaneamente alla sua concentrazione in sempre più poche mani, il che vale a dire il progressivo impoverimento della popolazione mondiale, e non soltanto in termini di reddito pro capite ma prima ancora sotto il profilo della tutela dei diritti umani fondamentali, dove la libertà non deve essere un concetto astratto o retorico.
In Italia la libertà è iniziata a finire da quando non è stato più possibile per un cittadino qualunque mediamente capace poter trovare un posto di lavoro regolarmente retribuito. Favoritismi e raccomandazioni ci sono sempre state e ci sono ovunque, anche nei paesi più virtuosi, ma c’è un limite di guardia che non va superato. Una volta, ai tempi della vecchia DC, si diceva che per ogni raccomandato doveva essere assunto un meritevole, perché altrimenti poi non ci sarebbe stato nessuno in grado di portare avanti le cose. E’ finita che le raccomandazioni e i favoritismi si sono estesi anche nell’ambito privato, laddove la “politica” si è insinuata in modo parassitario, e ciò sin dalle più grandi aziende sino al piccolo supermercato di quartiere. Per tacere dell’università e delle altre “supercaste”.
Ed in Italia la libertà ha continuato a finire quando si sono tagliate decine di miliardi nei servizi essenziali come la scuola e la sanità, tagli che sono stati in gran parte decisi dai governi non solo “democratici”, ma che a loro dire rappresenterebbero le categorie tipicamente tutelate dalla sinistra politica, ossia lavoratori e ceto medio in genere. Contemporaneamente questi “leader” democratici hanno ceduto alle lusinghe del capitale, quello improduttivo e speculativo, favorendo i “capitani coraggiosi” nella spoliazione delle imprese di Stato, definita “privatizzazioni”, nell’illusione che potessero essere delegati in perpetuo alla detenzione del “potere” politico, mentre ne venivano ogni giorno svuotati da quei poteri finanziari a cui avevano venduto l’anima. E la libertà dei cittadini.