di Salvatore Fiorentino © 2021
C’è un pm milanese che non si fida del suo procuratore capo e si rivolge ad un componente del C.S.M. in modo confidenziale e quasi amicale. Gli fa avere dei verbali d’indagine nei quali si fa riferimento ad un’associazione occulta che deciderebbe di nomine chiave di toghe ed esiti di processi importanti. Quel componente del C.S.M. non si fida dell’organo di cui fa parte e decide di evitare le vie formali, riferendo in modo imprecisato ad alcuni dei suoi vertici, suggerendo che sia informato anche il presidente della repubblica (il minuscolo è d’obbligo, dato che questa non pare la Repubblica descritta dalla Costituzione). Nessuno muove un dito, tutti sanno ma non dicono, finché la segretaria di quel componente del C.S.M. avrebbe deciso di informare anonimamente (autonomamente?) la stampa.
I giornalisti di testate solitamente legalitarie e denunciatarie non si fidano dell’anonimo latore, sicché invece di ricercare i riscontri e pubblicare come di dovere quello che appare come uno scoop (cave canem) si affrettano a riferire il tutto all’autorità giudiziaria, innescando un evidente corto circuito tra controllore e controllato. Il consigliere del C.S.M. Antonino Di Matteo, tra i destinatari del plico anonimo contentente le carte scottanti, invece decide di dichiarare il fatto apertamente in una seduta dell’organo di autogoverno delle toghe, registrandone però la muta presa d’atto, peraltro senza che ciò dia seguito ad alcun atto consequenziale del sommo collegio (sic transit gloria mundi) preposto alla salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, e del suo prestigio.
Fioccano quindi le smentite e i distinguo, non si contano le contraddizioni e le giustificazioni anche risibili, ma alla fine rimane confermata la sostanza. I vertici del C.S.M. e financo il Quirinale sapevano di questo ennesimo scandalo, forse esiziale, che si era abbattuto sulla credibilità della magistratura, ma preferivano la via del silenzio (tamquam non esset). E quando il re è talmente nudo da fare ribrezzo, si scatena l’attivismo delle procure di mezza Italia, che aprono fascicoli a più non posso, nella confusione della competenza territoriale che cambia alla stessa velocità delle previsioni del meteo, con i comprimari che si ritrovano interrogati come indagati e i protagonisti sentiti come persone informate dei fatti, secondo il classico copione del teatro della giustizia italiana.
Dopo lo scompiglio iniziale, l’ordine è univoco: minimizzare. E’ tutto una bufala, l’accusatore è un avvelenatore di pozzi, si tratta dell’ennesimo tentativo di gettare discredito sull’onorabilità delle toghe (che per la verità sono insuperabili in questo), il pretesto per avallare una riforma punitiva della giustizia, che riporti la magistratura sotto il tacco del potere politico, nel momento in cui, da “Mani pulite” ad oggi, questa non ha solo conquistato la sua piena indipendenza ed autonomia, ma ha preteso dichiaratamente di svolgere un ruolo di “supplenza”, dandosi in ipotesi che la “politica” non fosse in grado di assolvere al proprio compito, innescandosi così un perpetuo conflitto tra poteri dello Stato in lotta per la supremazia reciproca, piuttosto che l’attuazione del mutuo controllo.
Se non fosse che tra i due litiganti il terzo (i cittadini) muore, potremmo anche dire con lo stesso distaccato sardonismo che era in uso in città dove si contavano oltre cento morti assassinati all’anno, che si stanno “ammazzando tra loro”. Ma in verità non è così, perché politica deviata e magistratura deviata sono la stessa cosa, e le guerre in atto non sono altro che guerre di potere intestine, che stanno dilaniando la società, come in una guerra civile sotterranea che sta erodendo le fondamenta dell’edificio democratico, ingenerando la più pericolosa patologia che possa temersi: la crescente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni e soprattutto verso la magistratura, con la conseguenza di legittimare di fatto comportamenti illeciti e comunque antisociali dagli esiti devastanti ed irreversibili.