di Salvatore Fiorentino © 2021
Berlinguer errava credendo che fosse la “questione morale” la priorità per l’Italia, mentre quella era solo un riflesso di qualcosa di molto più grande e rilevante: la “questione politica”. Eppure ai tempi del leader comunista la politica ancora esisteva nel Belpaese, ed esistevano figure consapevoli del primato della stessa, le quali avevano maturato un certo orgoglio per la difesa dei confini e degli interessi nazionali, e non certo dalle malferme imbarcazioni di disperati migranti in fuga dalle atrocità dei loro paesi di provenienza, quanto dalle poderose portaerei battenti le bandiere di paesi atlanticamente “alleati”. Anche se tra queste figure della politica vi furono quelle, pure autorevoli, che decisero di schierarsi per la “deindustrializzazione” dell’Italia: Andreatta, Ciampi, Prodi e i loro boys.
Mario Draghi, allora direttore generale del ministero del Tesoro, era uno di questi giovani rampanti alla corte di chi voleva svendere l’Italia al peso dell’euro e fu il più bravo, così da guadagnarsi onori e allori per una carriera che oggi si compie con l’incarico di premier e, presumibilmente, come fu per Ciampi, con quello di prossimo presidente della Repubblica. Con le “privatizzazioni” il Belpaese si privò dei gioielli di famiglia, senza ricevere una adeguata contropartita, ma soprattutto recidendo le radici del proprio futuro, restando del tutto privo di una politica industriale, asservendosi agli interessi britannici, tedeschi e francesi dal punto di vista economico-finanziario e monetario, il che si andava ad aggiungere alla perdita di sovranità geopolitica già scontata nei confronti degli americani.
Paradossalmente, gli ultimi baluardi della sovranità politica ed economica dell’Italia furono quei “dinosauri” contro cui si scagliò l’ingenuo furore popolare, artatamente aizzato da una improvvisa ma pianificata ventata di “giustizialismo”, che servì a radere al suolo la cosiddetta “prima repubblica”, oggi rimpianta col senno del poi persino da un ex magistrato “giustizialista” come Antonio Ingroia, atteso il vuoto politico che l’ha succeduta. E’ peraltro noto che figure come quelle di Andreotti e Craxi, controverse quanto si vuole, si batterono per garantire la sovranità nazionale rispetto al piano di smantellamento industriale ed economico-finanziario ordito dai sedicenti “progressisti” italici, in verità la quinta colonna di quei poteri extranazionali che li avevano cooptati per il compimento dei loro disegni.
Ecco perché avvennero le stragi del 1992, di Capaci e via D’Amelio, ed ecco perché queste stragi non possono, logicamente e cronologicamente, essere ascritte a qualsivoglia “Trattativa Stato-mafia”. Le stragi, insieme al ciclone di “Mani pulite”, furono la spallata definitiva alla “prima repubblica”, polverizzando ogni resistenza verso il compiersi di quel disegno che vedeva l’Italia dover soggiacere alle mire di altri interessi extranazionali. Perché mai Cosa nostra avrebbe dovuto causare la reazione dura ed intransigente dello Stato, inevitabile dopo due eventi così clamorosi? E perché mai lo Stato avrebbe dovuto trattare con chi poteva annientare se solo ci fosse stata la volontà, come appariva esserci con la chiamata di Falcone al ministero di giustizia al tempo del governo Andreotti?
Come accadde al tempo della liberazione dal regime nazifascista, Cosa nostra si mise a disposizione, consapevole che ne avrebbe ottenuto una conveniente contropartita, di quei poteri extranazionali che volevano abbattere la “prima repubblica” non tanto per soppiantarla con un’altra più gradita quanto per ottenere la definitiva distruzione di ogni capacità politica dell’Italia, rendendola per sempre inabile a governarsi e soprattutto ad opporsi a qualunque disegno ordito a discapito degli interessi nazionali e dei suoi cittadini. Ecco perché appare credibile quanto da ultimo riferito dal killer mafioso Maurizio Avola circa l’inesistenza di personale dei servizi segreti italiani nel teatro della strage di via D’Amelio. C’era solo Cosa nostra. E non occorre neppure scoprire i mandanti internazionali.