di Salvatore Fiorentino © 2021
Doveva accadere. Un sindacalista è stato ucciso. Perché a presidio di uno sciopero di altri lavoratori come lui. Perché alzavano la testa, chiedevano il diritto di non essere considerati schiavi, nell’epoca post-democratica ed ipercapitalista, dalle venature chiaramente fasciste. E’ solo il caso esemplare di tante morti quotidiane, alle quali i politici sanno riservare solo lacrime di coccodrillo, essendosi asserviti alle leggi dei padroni, che vogliono ridurre uomini e donne ad automi pronti a tutto, annichilendone le coscienze, neutralizzandone la capacità di reagire, di lottare, di difendersi e difendere i loro compagni, cercando in tutti i modi di dividerli, di renderli aggressivi gli uni verso gli altri, per poterli dominare, assoldare concedendo ai più spietati qualche mancia miserabile, che spenderanno da larve umane.
I mandanti di questa strage di lavoratori che continua come un fiume di sangue in piena sono noti: sono i “datori di morte” (e non di lavoro), la loro logica sfruttatrice oltre ogni limite, che si nutre del disprezzo per l’essere umano, per la sua vita, la sua esistenza. E non siamo nelle miniere africane né nelle lande sperdute del mondo. Siamo in Italia, dove il lavoro non si può più chiamare tale, perché è divenuto ricatto, minaccia, estorsione, umiliazione, spregio di ogni regola e di ogni diritto basilare, sino al punto che chi si oppone per rivendicare la sua dignità rischia di essere falciato, abbattuto, schiacciato, annullato, distrutto, per poi essere gettato via una volta reso inservibile. E’ ormai considerato persino normale dover lavorare senza retribuzione, dover essere disponibile in qualunque ora del giorno e anche della notte.
E’ accaduto o no nell’Italia dell’osannato Marchionne (chissà se riposa in pace) e della sua mirabolante creatura FIAT-Chrysler che un operaio sia stato costretto a sversarsi addosso le sue deizioni fisiologiche in nome della dea “produttività”? E quante delle migliaia di morti sul lavoro sono dovute all’ineluttabilità del fato e quante invece causate dalla consapevole superficialità nell’applicazione delle più basilari norme di sicurezza? Quanti lavoratori devono restituire al loro datore una parte dello stipendio dichiarato in busta paga? E quanti sono costretti a lavorare nei giorni festivi senza la dovuta retribuzione? Quanti sono costretti a turni massacranti ancorché sottopagati? Per non parlare della vergogna contemporanea dei “rider” (ma chiamiamoli ciclofattorini), in balia ad un algoritmo.
E poi ci sono le categorie più deboli, verso le quali l’accanimento sembra addirittura più feroce, e la discriminazione imperante. In un mondo del lavoro ancora dominato dalla logica maschilista più vieta, la donna rischia di dover sottostare ad una logica padronale che la vuole silente e succube, dove il diritto alla maternità è visto con malcelato fastidio, quasi una minaccia, e va quindi represso e scoraggiato con ogni espediente. Così come un peso da cui liberarsi vengono considerati quei lavoratori che sono incorsi in cause di disabilità, spesso per colpa o dolo del datore, anche se possono essere una risorsa solo ove vi fosse l’intelligenza e la capacità al posto della brutalità e della ignoranza di chi presume di essere imprenditore o dirigente di una qualsiasi organizzazione lavorativa.
Il datore di lavoro (e di morte) che è rimasto all’età delle caverne usa ancora la “frusta” e così pensa di ottenere il massimo dalle sue “bestie” da soma. Si crede il “padrone”, mentre è lui il vero “servo”, come ha ben spiegato Hegel nella celebre dialettica. Senza il lavoratore costui non potrebbe ricavare nulla dal suo “capitale”, che si disperderebbe come sabbia al vento. Ecco perché lo sciopero è in democrazia un diritto inalienabile dei lavoratori: perché bilancia lo strapotere del capitale, rendendolo vano. Ed ecco perché nelle dittature scioperare è vietato, e i sindacalisti e gli scioperanti vanno arrestati, se non torturati e persino uccisi. Ed è così chiaro perché nella falsa democrazia odierna si cerchi in tutti i modi di comprimere i diritti dei lavoratori, sino al punto che chi sciopera può persino restare sul selciato.