di Salvatore Fiorentino © 2021
I teorici della politica concepita in provetta (non per niente il “Dalemone” è divenuto un must di culto) si credono astuti e cinici demiurghi, ma poi devono arrendersi all’evidenza dei conclamati fallimenti, perché i loro “Frankenstein” fanno orrore e non riescono neppure a sopravvivere a sé stessi. Una prova ne fu data dalla stagione de “L’Ulivo”, con la fusione a freddo tra ex comunisti ed ex democristiani, più qualche aggiunta di “cespugli” sparsi provenienti dall’ex pentapartito e dintorni della prima repubblica. Con un leader, Romano Prodi, ex boiardo di stato, nominato dal nulla quale amministratore delegato di una compagine eterogenea che aveva come unico collante quello della gestione del potere con la scusante di impedire la vittoria delle “destre”, le stesse di oggi, dato che un quarto di secolo fa c’erano sempre Berlusconi, la Lega e gli ex fascisti.
Ora qualcuno pensa di riprovarci con la fusione a freddo tra M5S e PD, impresa forse ancora più ardua, perché non appena si collegano i fili il corto circuito è inevitabile. E l’ultimo scontro tra Grillo e Conte, incomprensibile ai più, per certi versi inatteso ma prevedibile e da qualcuno previsto, non ne è che uno degli effetti manifesti. Si tratta di un disegno che viene da lontano, da quando si crearono le condizioni per la caduta del governo “giallo-verde”, indispensabile per separare il M5S dalla Lega e metterlo a disposizione del PD in un nuovo governo “giallo-rosa”, così da riportare ancora una volta chi aveva perso le elezioni nelle stanze del potere, dato che questo pare sia ormai il destino dei “democratici”. Poi si escogita il governo di tutti, sotto l’egida del migliore dei premier possibili, un banchiere come Draghi, per completare l’allineamento del M5S all’establishment.
Allineamento che si perfeziona quando i grillini – già orfani di Gianroberto Casaleggio e con un Beppe Grillo quanto mai depotenziato a causa dalle sventure del figlio che esplodono improvvisamente sull’arena mediatica dopo un anomalo periodo di quiete – si trovano nel momento di massima debolezza politica, anche a dire dei sondaggi che li vedono precipitare al 15%. Ecco che sono mature le condizioni per lanciare l’OPA sul MoVimento, per annetterlo di fatto al PD e costruire quella coalizione che sempre sulla carta potrebbe riuscire a prevalere sulle “destre”, ancora oggi agitate come spauracchio, allo scopo effettivo di mantenere il potere saldo nelle mani “democratiche”, per definizione “pulite”. Così quelli che un tempo si definivano umili “portavoce” del popolo, dopo due mandati, iniziano ad assaporare il tonno della scatoletta che si erano prefissi di aprire, prendendoci gusto.
Nel frattanto vengono ostacolati, marginalizzati, espulsi o indotti all’esilio quegli esponenti più rappresentativi dei valori fondanti e identitari dei pentastellati, come Di Battista, Morra o la Raggi, solo per citare i maggiori e più conosciuti, in quella che sembra a tutti gli effetti una “pulizia etnica” propedeutica all’annessione del nuovo M5S al vecchio PD. Ecco che l’ex premier, il camaleontico già “avvocato del popolo” Giuseppe Conte, viene designato coram populo quale rifondatore a cinque stelle. Si tratta, tuttavia, di una rifondazione così profonda che vede non solo la consumazione del divorzio con Casaleggio jr e la sua piattaforma Rousseau, ma anche la marginalizzazione del ruolo e dei poteri attribuiti al garante e co-fondatore superstite del MoVimento, che vedendosi scippare la creatura di mano insorge.
Avendone pienamente le ragioni, in quanto “garante” nei confronti degli iscritti, ma anche verso gli elettori, che siano rispettati i valori che stanno alla base del M5S dopo oltre dieci anni di lotte e manifestazioni in tutte le piazze d’Italia, quando ancora l’ex premier Conte non era nella mente di nessuno e nessuno poteva immaginarne un ruolo come premier, che difatti ha rivestito non perché eletto dal popolo né dagli iscritti del MoVimento, ma in quanto designato fiduciariamente, quale figura non politica che fosse di equilibrio tra M5S e Lega prima e tra M5S e PD poi. E che ora un designato venuto dal nulla pretenda di snaturare il M5S, addirittura contro il parere del “garante”, appare quanto meno anomalo oltre che inaccettabile. Mentre certifica, definitivamente, l’incompatibilità del M5S col PD.