di Salvatore Fiorentino © 2021
Vaffa Conte! Vaffa Grillo! I due non hanno usato mezze misure nel mandarsi reciprocamente a quel Belpaese. Poi, come se avessero preso in giro tutti, elettori, attivisti, parlamentari e ministri, mangiano, bevono e ridono a più non posso, siglando la pace di Bibbona (nomen omen). E i cittadini, non più le cinque stelle, stanno a guardare. Che si mettano d’accordo su chi fa il leader, chi dà la linea politica e chi fa il garante e con quali poteri. Direttorii a sette teste, triumvirati (ovviamente a tre) e chissà quali altre diavolerie, tanto è tutto fumo a favor di telecamera, alla fine comanda uno. Già due sono troppi, e difatti si beccano come i capponi di Renzi. Adesso guardano al futuro, all’anno 2050. Eppure in quella data avranno la bellezza di 86 primavere il più giovane e 102 il più anziano. Ancora aspetteremo il “cambiamento”.
Dopo i balletti “No Tav-Si Tav”, “No Ilva-Si Ilva”, “No Benetton-Si Benetton”, “No terzo mandato-Si terzo mandato”, l’ultimo tormentone estivo è “No prescrizione-Si prescrizione”. Conte dice No e Grillo dice Si, facendo impallidire il “ma anche” di veltroniana memoria. Si passa così dalla “spazzacorrotti” alla “spazzaprocessi”. Con il capodelegazione (Patuanelli) dei quattro ministri pentastellati che, per tenere insieme capre e cavoli, da buon ministro dell’agricoltura, propugna il M5S di lotta (in parlamento) e di governo (in consiglio dei ministri), con un camalecontismo che neppure l’ultimo Mastella in preda ad una crisi di astinenza da poltrona avrebbe mai osato immaginare. Più “cambiamento” di così! Tutto normale se Conte “non ha visione politica né capacità manageriali”, a detta del (a dire di Conte) “padre-padrone”.
Ma la “grillina commedia” contempla il contrappasso del “dalle stelle alle stalle”, e così dal paradiso del successo elettorale del 2018, attraversando il purgatorio del governo Draghi, i pentastellati finiranno dritti dritti all’inferno delle prossime consultazioni politiche del 2023, quando dovranno lottare per non scomparire tra i cespugli del parterre all’italiana. In questo moto retrogrado a salvarsi saranno in pochissimi, e tra questi sicuramente ci sarà la Raggi, che difatti è stata osteggiata e ignorata dallo stesso MoVimento, dallo stesso Conte (eccetto le ultime comparsate camalecontiche) e un tempo dallo stesso Grillo, che ne prese le distanze quando all’inizio i poteri di “mafia capitale” sparavano ad alzo zero sulla sindaca onesta e capace, percependola come una seria minaccia alle loro brame e trame.
Che la pace scoppiata improvvisamente tra Conte e Grillo sia una finzione di comodo poco importa, perché il risultato finale sarà lo stesso, sia che nella singolar tenzone prevalga il primo ovvero il secondo, dato che ciascuno si crede più astuto dell’altro e gioca al gatto col topo. Ma in questa diatriba non si vedono né leader né tanto meno statisti, perché non basta enunciare vaghe e generiche idealità, “transizione ecologica” o “transizione digitale” che dir si voglia. Mentre Conte e Grillo giocano alla guerra e alla pace nel loro mondo virtuale e dorato, tra spigole e amenità esibite via social, la realtà dei cittadini va nella direzione di un impoverimento non solo della classe operaia, ma anche della media borghesia, con quest’ultima che vede, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, minacciato il suo ruolo centrale nella società italiana.
Al ricco avvocato d’affari e al ricchissimo uomo di spettacolo cosa può importare dei licenziamenti a catena ad un ritmo incessante dopo lo “sblocco” deciso dal governo Draghi, propagandato dal ministro piddino del lavoro come un successo condiviso con le parti sociali? Cosa può importare a questi personaggi autoreferenziali ed autocratici del funzionamento della giustizia (a parte i casi personali) che danneggiano milioni di cittadini onesti e ne favoriscono altrettanti disonesti? E cosa importa a questi dioscuri a cinque stelle della sanità, dell’università, della ricerca e della scuola? Per capirlo basta osservare cosa ne è stato dei programmi e degli slogan che hanno convinto il 33% degli elettori italiani a votare per la formazione politica che si presentava come la forza inarrestabile per il “cambiamento”.