Ah, l’Italia

di Salvatore Fiorentino © 2021

C’era una volta in Italia Lamerica. Poi arrivarono gli Andreatta’s boys, De Mita, Ciampi, Prodi, D’Alema, Amato, Bersani, Letta & Co., per deindustrializzare e privatizzare a mani basse, svendendo i gioielli di Stato per fare un favore all’industria europea, a trazione franco-tedesca, che voleva depotenziare la capacità produttiva italiana, temendone la competitività, per relegare il Belpaese ad un ruolo servente. Due uomini chiave, rispettivamente sul versante economico e politico, erano stati eliminati perché ritenuti cardinali per le magnifiche sorti e progressive: Enrico Mattei e Aldo Moro. Romano Prodi a quel tempo si esercitava con le sedute spiritiche, per poi diventare il premier che avrebbe svenduto la lira al cambio con l’euro alle soglie del secondo millennio. Oggi, perso ogni pudore, quando gli chiedono se sta dalla parte dei lavoratori di Alitalia che deve “snellirsi” da 13 mila a 3 mila unità, risponde perentorio: “Alitalia deve ripartire in fretta, snella ed efficiente”. Chapeau!

Negli stessi anni, la grande industria privata italiana, invece di opporsi al depotenziamento, sceglieva la strada speculativa, spostando almeno la metà dei capitali di investimento dalla produzione alla finanza, seguendo la linea “europeista” franco-tedesca, ottenendo facili profitti ma perdendo valore, delocalizzando e comprimendo in modo sistematico i diritti dei lavoratori, non ostacolata più di tanto dalle organizzazioni sindacali che nel tempo delle “vacche grasse” si erano trasformate in vere e proprie succursali del potere politico, assumendone sembianze e comportamenti, non esclusi i beneamini delle masse lavoratrici come Cofferati o, da ultimo, Landini, perfettamente inseriti nella logica neo-padronale una volta giunti al vertice della CGIL, dopo aver commosso le folle con le loro storie personali di operai poveri ed infreddoliti. Ma nel frattempo gli operai della FIAT non avevano il permesso di andare a fare pipì, e dovevano provvedere sul posto, orinando la loro dignità.

La falce della Troika si abbatteva senza pietà sui popoli europei più deboli, in un vero e proprio genocidio del lavoro, con l’evidente strategia di drenare risorse dalle tasche dei lavoratori per bilanciare l’equilibrio finanziario della stagione speculativa dell’iper capitalismo divenuto la nuova religione totalitaria che non poteva ammettere deroghe né opposizioni da parte delle istituzioni nazionali “sovrane”, difatti progressivamente smantellate con la complicità di capi di stato e di governo che in cambio ricevevano prestigiose poltrone internazionali (per l’Italia si pensi a Prodi e Draghi, protagonisti assoluti, di ieri e di oggi) dell’involuzione socio-economica nazionale, dove le perdite si scaricano sulla fiscalità generale (alla quale sfuggono i grandi evasori, mai cercati e mai scoperti), mentre i profitti si concentrano nelle mani di capitalisti senza capitale e senza piani industriali, gli stessi che eludono il fisco delocalizzando le sedi legali delle loro imprese nei paesi di comodo.

La crisi della compagnia di bandiera nazionale, Alitalia, non è che un epifenomeno della degenerazione del “sistema Italia”. Un tempo l’aviazione civile di un paese ne era il fiore all’occhiello, il biglietto da visita, in un mondo che si apriva alle relazioni e agli scambi, dove i viaggiatori non erano più solo i privilegiati e gli uomini d’affari, ma comuni cittadini. E non è quindi un caso che il precipizio di Alitalia coincida con quello dell’Italia, che non è solo socio-economico, ma innanzi tutto politico, laddove si è proseguito, grazie alla ciclica espropriazione della “politica” da parte della “tecnocrazia”, un disegno di progressivo e sistematico depauperamento dei lavoratori, premessa indispensabile per ottenere il declassamento dei “cittadini” al rango di “sudditi”, ossia l’obiettivo ultimo perseguito dalle nuove élite occidentali, che non hanno volto, ma che si affidano a qualificati fantocci sostenuti da una “informazione” che è interamente nelle loro mani.

I governi Ciampi, Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Monti, non sono stati che l’attuazione di questo disegno il cui cerchio si chiude oggi con il governo Draghi. Chi ancora coltivasse ambizioni “politiche” è avvisato. Ci hanno pensato due editorialisti di punta di Corriere e Repubblica, Massimo Franco e Stefano Folli, a notificare a reti unificate che adesso “il gioco è cambiato” e che occorre garantire continuità alla leadership “tecnocratica” di Draghi anche dopo le elezioni del 2023, ma “senza una formale candidatura dello stesso”. Si comprende così la caccia aperta a Salvini, che rappresenta quella parte, ancora maggioritaria, della Lega che non intende rinunciare al ruolo “politico”, come ha platealmente dimostrato con il ritiro dei senatori in occasione del voto sul “green pass”. Mentre la Meloni non viene ancora presa di mira, perché se si “normalizza” la Lega come è stato fatto con il Movimento Cinque Stelle, ormai adulto e vaccinato, quale miglior certificato di “democrazia” con i “fascisti” forti ma all’opposizione?

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