di Salvatore Fiorentino © 2021
Dalle elezioni politiche del 2018 l’Italia è entrata in una stagione che non si può oggettivamente definire democratica, essendo stato ampiamente superato il limite di guardia, quanto meno se ci si riporta ai principi della Costituzione tutt’ora vigente, probabilmente anche perché il suo garante è apparso quanto mai distratto, con vistosi svarioni nel momento della formazione dei governi che si sono succeduti, rischiando persino l’impeachment col l’improvvida iniziativa del governo tecnico (Cottarelli) di minoranza, poi ritirata precipitosamente. Ma l’ormai uscente (eppure dato rientrante dalla finestra) presidente, a suo tempo voluto da Matteo Renzi, ha avuto la sua grande rivincita con il governo Draghi, con il quale si è instaurato qualcosa di più di quella che per i Romani era una dictatura, ossia un governo d’emergenza che assumeva i poteri in caso di calamità. Ma il dictator romano aveva un mandato limitato a sei mesi e veniva eletto dal senato per sostituire temporaneamente i consoli.
Adesso invece sembra che l’unico premier (dictator) possibile sia proprio lo stesso Mario Draghi, osannato da Confindustria e dalla stampa (pressoché tutta) a libro paga della predetta, a cui si vorrebbe affidare un mandato in perpetuo, sino al punto che già lo si designa come premier, qualsiasi sarà il risultato alle elezioni politiche del 2023, a ciò finalizzando la rielezione di san Mattarella al Quirinale, perlomeno per il tempo necessario a reinsediare “il migliore”. Le elezioni politiche e la formazione del parlamento verrebbero ridotte ad una mera formalità, un rituale tra sacro e profano come la processione del patrono di paese. Certo è che questa condizione esiziale in cui è precipitata la democrazia italiana sia stata in primo luogo causata dal successo del Movimento Cinque Stelle, ossia la più grande truffa mai compiuta ai danni degli elettori del Belpaese, dato che il 33% dei consensi è stato, è e verrà utilizzato abusivamente per legittimare politiche contrarie al mandato popolare.
La storia insegna (ma, come noto, non ha scolari) che il dictator ai tempi dei Romani, pur assorbendo i pieni poteri civili e militari, era tenuto a rispettare la costituzione repubblicana. Solo che poi, come avviene sempre, ciò che è temporaneo diventa permanente, sicché il dictator finì per assumere il potere legislativo costituente. Ecco che coloro che oggi inalberano il vessillo antifascista riportandosi al Ventennio mussoliniano e riconoscendo il pericolo fascista in quei gruppuscoli neofascisti guidati da improbabili duces dalle fattezze e dai modi grotteschi, non fanno altro che il gioco del vero fascismo d’aujourd’hui, che è molto più spietato e pericoloso di quello sconfitto dalla Resistenza, perché più subdolo e dissimulato sino al punto di assumere le sembianze dell’antifascismo di maniera. Draghi che abbraccia Landini davanti alla sede storica della CGIL a Roma dopo che il suo ministro di polizia non ne ha impedito l’assalto ne è la plastica rappresentazione.
Il sintomo conclamato di questo stato patologico della democrazia italiana si legge chiaramente nel paradosso per cui l’unica forza politica d’opposizione – e che si schiera a difesa dei diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini – è quella che proviene dalla tradizione post fascista. Sicché i post fascisti ci salveranno dagli “antifascisti” che minacciano la Costituzione e la libertà dei cittadini, il diritto al lavoro, il diritto a non subire discriminazioni di ogni sorta? Forse, ma solo se non verranno sciolti in quanto “fuori dall’arco democratico e repubblicano”, a dire del vicesegretario del Partito Democratico, tale Giuseppe Luciano Calogero Provenzano da San Cataldo, provincia di Caltanissetta. E’ difatti più probabile che sia sciolto il partito di Giorgia Meloni – attualmente la prima forza politica italiana e come tale intollerabile fumo negli occhi per chi vuole spianare la strada alla perpetua dictatura di Mario Draghi – che i gruppuscoli neofascisti di Forza Nuova e Casapound.
E’ evidente che l’emergenza pandemica, peraltro ormai nella fase terminale per fatto naturale e non certo per i prodigi del dictator Draghi e del suo magister equitum Figliuolo, sia stata solo il pretesto per assoggettare i cittadini al giogo di chi è stato nominato senza alcuna legittimazione popolare per dirottare le risorse del famigerato PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) nelle tasche dei soliti noti grandi gruppi imprenditoriali italiani con sede legale nei paradisi fiscali, privilegiando il nord come sempre avviene dalla spoliazione del meridione avviata sin dall’unità d’Italia, e negando ogni possibilità di sviluppo del sud e soprattutto delle isole, considerate subcolonie della colonia Italia in Europa, al netto della cartolina a colori del ponte sullo stretto di Messina periodicamente sventolata sotto il naso degli allocchi con abuso della credulità (e della disperazione) popolare. Del resto, al tempo della dictatura, invece che i corrotti si spazzano i processi e lo Stato può trattare con la mafia.