Fratelli d’Italia

di Salvatore Fiorentino © 2021

Se è alquanto noto il bacio di Giuda, meno lo è l’abbraccio dei Giuda. E’ quello dei novelli “Fratelli d’Italia”. Eh, no, qui la Meloni non c’entra, né c’entra il “Canto degli italiani” (scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847, ma divenuto definitivamente inno nazionale solo con la legge n. 181 del 2017, alla faccia della Patria e dei bei discorsi tricolori in occasione delle parate della festa della Repubblica) che tante volte abbiamo sentito risuonare negli ultimi mesi in occasione dei successi sportivi degli azzurri, tra Europei (l’Europa innanzi tutto) di calcio, olimpiadi e paralimpiadi, mai così esaltati dai tempi di Benito Mussolini (non basta più dire “Duce”, perché oggi si potrebbe fare confusione con l’attuale dictator), con Mattarella che si è illuso di essere un nuovo Pertini (che non si ripete). Ma i “Fratelli d’Italia” (maiuscoli entrambi) di cui ora si parla sono il capo del governo in carica e il capo del maggiore sindacato (la CGIL) italiano: Mario Draghi e Maurizio Landini.

Draghi e Landini rappresentano i vertici delle rispettive controparti, il governo e le organizzazioni sindacali. E, nel gioco di queste controparti, se il governo cerca di comprimere i diritti dei lavoratori, tagliare le pensioni e congelare i rinnovi contrattuali (Brunetta docet, come dimostra il blocco decennale poi dichiarato incostituzionale con risarcimento, ancorché solo parziale, corrisposto a milioni di lavoratori, motivo per cui Brunetta, avendo “ben operato”, è stato richiamato nello stesso dicastero nel gabinetto Draghi), dall’altra parte della barricata il sindacato (e soprattutto la CGIL a trazione metalmeccanica di quella FIOM da cui Landini proviene e con storica cinghia di trasmissione col PCI-PDS-DS-PD) cerca di tutelare, ancorché sempre più blandamente, questi diritti, con vistosi ed incomprensibili cedimenti, come quello sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, storico presidio a tutela della dignità dei lavoratori caduto senza che Landini né altri si siano stracciate le vesti.

Landini ha sbraitato in lungo e largo nelle piazze (ma soprattutto nei talk show dei tanto detestati “padroni”) quando era a capo della FIOM, ma non appena è riuscito a compiere la scalata al vertice della CGIL, assumendo il ruolo di segretario generale, si è trasformato in un “collaborazionista” del governo – e che governo! – secondo la parabola tipica che contraddistingue coloro che assumono strumentalmente i panni dei “rivoluzionari” per poi cambiarsi d’abito rapidamente una volta raggiunto il loro personale obiettivo di carriera, pratica per la verità molto diffusa in certa “sinistra democratica” che col potere ama scendere a patti per ottenere non tanto la tutela delle masse popolari quanto i privilegi per chi si arroga il ruolo di guidarle, di fatto tradendole, come ha fatto Landini in linea con molti dei suoi predecessori, molti dei quali divenuti parlamentari. Landini ci dica degli stipendi abnormi dei dirigenti sindacali, delle loro pensioni privilegiate, dei precari sfruttati che lavorano per loro.

Con Draghi si inneggia alla crescita del 6%, che è un dato che va considerato rispetto al meno 9% dell’anno scorso, il che vale a dire che siamo ancora in recessione del 3% rispetto all’epoca pre-Covid. In compenso si è eroso il potere d’acquisto, i costi dell’energia e dei carburanti schizzano alle stelle, l’inflazione inizia a galoppare, si sbloccano i licenziamenti di massa, si lasciano a casa i lavoratori dell’ex Alitalia, non si ha la forza di imporre sanzioni o comunque deterrenti per quegli “imprenditori” che succhiano risorse dalla fiscalità generale in Italia e delocalizzano non solo le sedi legali (per eludere il fisco), ma persino quelle produttive (contribuendo all’emorragia di posti di lavoro), si prosegue nell’annosa incapacità di dotare il paese di una politica industriale, non si contrasta la devastazione del territorio, si riforma la giustizia perché i potenti e i delinquenti possano strappare la ragnatela in cui rimangono impigliati solo i poveri cristi e gli onesti, si impone la tessera verde per lavorare.

Se Draghi, forte dell’imprimatur di Mattarella ma soprattutto dei poteri economico-finanziari nazionali ed europei, ha mostrato di infischiarsene delle forze politiche che sostengono, per costrizione o incapacità, il suo “dittatorato”, sicché è pressoché nulla la sua considerazione verso il popolo sovrano e quindi verso il parlamento, dal canto suo Landini non solo ha rinunciato sin dall’inizio ad interpretare il dovuto ruolo di controparte, ma ha persino avuto l’impudenza di chiedere di “partecipare” alle decisioni del governo, in tal modo auspicando una “consorteria” per accedere alla quale egli porta in dote la testa dei lavoratori italiani, ossia quanto di meglio si possa offrire ai dante causa dello stesso Draghi, quelli stessi che lo hanno osannato all’assemblea 2021 di Confindustria e che bramano la “riforma generale del lavoro” che adesso, dopo la forzatura del “green pass” sugellata con il fraterno abbraccio col capo della CGIL, appare come non mai a portata di mano.

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