di Salvatore Fiorentino © 2021
La buona notizia è che la politica non è morta, quella cattiva è che si trova ancora in terapia intensiva sotto le cure di un medico che non ha alcuna voglia né interesse a farla guarire. Difatti, il dictator in carica – che, come per tradizione dal diritto romano, ha un ruolo tanto straordinario quanto temporaneo – non mostra alcuna intenzione di voler cedere il passo, anzi allunga le sue mire sino al sommo Colle, il Quirinale. Non va però dimenticato che il banchiere neoliberista e monetarista Mario Draghi non è altro che la pedina di quei poteri sovranazionali che da tempo decidono nelle loro oscure sedi i destini di questo o di quel popolo, avendo per ciò creato la più perfetta macchina tecnocratica mai realizzata al mondo, ossia questa Europa che è solo il simulacro di quella che fu immaginata da statisti come De Gasperi, Adenauer e pochi altri, in un orizzonte di pace.
Oggi è impensabile – e non accadrà mai, ci mancherebbe – che la guerra si svolga in modo tradizionale, con truppe, carri armati, portaerei e caccia bombardieri dispiegati nelle lande d’Europa. Questi “giochi” ormai si svolgono nel Terzo e Quarto mondo, dove ancora CIA, Pentagono e intelligence dell’Occidente si compiacciono di attuare strategie geomilitari che non sono altro che un gigantesco Risiko per adulti senza arte né patria. Basti pensare che, poi, accade che il ministro degli Esteri di un paese non irrilevante sullo scacchiere globale sia niente meno che Giggino Di Maio (ma ci faccia il piacere! gli direbbe un suo illustre conterraneo a cui non difettava certo il senso del ridicolo). Oggi, diversamente, la guerra si attua con le armi tecnocratiche, della euroburocrazia, molto più efficaci per soggiogare i popoli che le bombe e i cannoni, altro che nazifascismo.
Il quadro diventa, se possibile, più fosco se alle Merkel e ai Mitterand succedono le von der Leyen e i Macron, ossia il sottovuoto spinto della politica franco-tedesca che pretende di dettare legge su quella europea, con l’Italia oggi perfettamente a proprio agio nel ruolo di succube volontaria assunto dai tempi degli Andreatta’s boys, tra cui i Prodi, i Ciampi e i loro epigoni tanto declamati che svendettero allegramente i gioielli dell’industria di stato, anche grazie ai passepartout generosamente concessi da una Banca d’Italia in cui il neo dictator Mario Draghi svolgeva un ruolo centrale e strategico, pur con l’astuta accortezza di non lasciare impronte digitali sulle carte scottanti che segnarono uno dei periodi più bui dell’istituzione che avrebbe invece dovuto tutelare gli interessi pubblici rispetto alla fameliche brame di avventurieri, affaristi e mercenari di ogni risma.
Era facile scaricare le colpe su Craxi ed Andreotti, come oggi su Berlusconi, per distrarre l’opinione pubblica, che iniziava ad adirarsi quando non riusciva a ottenere la raccomandazione, sicché invocava l’onestà, tanto con “Mani pulite” quanto con il “grillismo”, niente altro che febbri di una malattia che ammorba il Belpaese senza possibilità di remissione, non esistendo al mondo cura per l’opportunismo e il trasformismo temprati da secoli di sottomissioni verso l’invasore di turno, senza che si sia mai potuta, neppure durante il Fascismo, realizzare qualcosa che lontanamente potesse assomigliare all’idea di “patria”, perché questo sentimento insito nella profonda consapevolezza di un popolo non si genera a tavolino né tanto meno per legge o perché si affaccia dal balcone un dictator, qualsivoglia, che affermi che adesso c’è uno stato, una repubblica o qualcosa d’altro.
Ma quest’Europa falsa e fedifraga sembra aver ormai i giorni contati, dato che ha cercato di approfittare della crisi pandemica per imporre il suo giogo, diffondendo paure e divisioni, invece che svolgere il suo ruolo di tutrice e salvatrice, minacciando sempre dietro l’angolo lo spauracchio del “patto di stabilità”, ossia niente altro che il vecchio odioso ricatto che tutti conoscono nella formulazione archetipa di “o la borsa o la vita”. E che poi si parli ancora di mafia corleonese e di Matteo Messina Denaro fa davvero sorridere coloro che hanno sempre avuto presente la limpida lezione di chi, come Giuseppe Fava, sin dal lontano 1983, non mancava di ammonire che ” … i mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione … “. Da allora è cambiato solo che i banchieri sono oggi ai vertici della nazione.