di Salvatore Fiorentino © 2022
Che il destino di 60 milioni di italiani debba dipendere dalle aspirazioni di Mario Draghi o di chicchessia (uomo, donna o altro) è un’offesa al buon senso, all’intelligenza (per chi ce l’ha) e alla credibilità delle istituzioni. Che così non hanno più ragione di esistere, consegnando il paese all’anarchia più pericolosa, quella che autorizza la soluzione antidemocratica, pur di tenere in piedi ciò che è divenuto il simulacro dello stato. Il vulnus è radicato nel fatto che a fronte dell’incapacità di esercitare il ruolo “politico” da parte dei rappresentanti dei cittadini si abbozzi un rimedio costituito dalla delega ai “tecnici”, super o iper che siano. Chi ha assunto l’esercizio di una carica pubblica, in primis il parlamentare, non può fuggire di fronte alle proprie responsabilità, avendo solo due scelte: onorarle oppure dimettersi. Ogni altra ipotesi sarebbe inaccettabile, perché in frode al mandato di fiducia dei cittadini.
Che credibilità delle istituzioni lascia in eredità un presidente della repubblica che, a pochi giorni della scadenza del proprio settennato, dopo aver avallato silenziosamente le peggiori nefandezze “anticostituzionali” mai viste nell’epoca repubblicana (si pensi alle “riforme” di Renzi, che si vanta di averlo “piazzato” al Quirinale, ma si veda anche la “riforma” della giustizia partorita da una spudorata ex presidente della Consulta), decide di presiedere il C.S.M. per mettere il sigillo quirinalizio alla nomina dei vertici della Corte di cassazione sconfessando platealmente una sentenza del Consiglio di Stato? Quest’ultimo allora non è attendibile oppure non lo è il C.S.M.? Delle due l’una. E come disse in una udienza del processo “Mori-Obinu” il modesto ma onesto presidente del collegio, rivolgendosi al tremebondo Nicola Mancino: “lo Stato uno è, non è che ognuno va per i fatti suoi”.
A quanto pare non è così. Allora è legitimo chiedersi se questa non sia tanto la notte della repubblica quanto la sua defunzione. Fondata sul lavoro e la cui sovranità appartiene al popolo? Non oggi. E come si chiese il principe di Salina di fronte alla propria morte, che lo raggiunse con le sembianze di una elegante signora, quanti saranno stati i momenti, i giorni, le ore, in cui questa Repubblica ha veramente vissuto? Talmente pochi da contarsi sulle dita di una sola mano. Lo sono stati certo quelli in cui il popolo ha visto affermare la giustizia sociale, come quando i valorosi pretori del lavoro affrancarono i cittadini dal giogo dello sfruttamento indiscriminato, per restituirgli una libera e dignitosa esistenza. E, in generale, lo sono stati tutti quelli, anche pagati al caro prezzo della vita, in cui i servitori dello Stato hanno reso giustizia, in onore al ruolo assunto giurando sulla Costituzione.
Altri tempi. Mentre oggi che credibilità può avere uno stato che appare sempre più sottomesso al volere di altri poteri sovranazionali? Gli U.S.A., l’Europa, le banche, i grandi imprenditori parassitari, i capitalisti globali che in tempi di pandemia hanno raddoppiato il loro patrimonio megamiliardario lucrando sulle disgrazie della popolazione mondiale? Che credibilità può avere uno stato che droga l’informazione finanziandola a sazietà per diffondere urbi et orbi il pensiero unico dominante, schiacciando con la forza vigliacca ogni forma di legittima e democratica protesta dei cittadini armati di spirito critico nonostante l’inebetimento di massa perpetrato con ogni mezzo? Uno stato che ha preteso di impedire ai medici l’osservanza del giuramento di Ippocrate con una circolare ministeriale, oggi derubricata al rango di mere “raccomandazioni” e non di “prescrizioni” dal Consiglio di stato in fabula.
Ma lo Stato uno è. Dovrebbe. E invece di tutelare la coesione sociale, il governo di tutti e di nessuno alimenta come non mai le divisioni, in un indecente revival dell’antico, ma modernissimo, motto “divide et impera”. Perché il dictator Draghi, nonostante solo il 12% (la stessa percentuale del succo d’arancia nella Fanta) degli italiani lo voglia quale tredicesimo (ma che numero fortunato!) presidente della repubblica, si è convinto di poter divenire imperator, umiliando come mai accaduto i partiti politici e i rappresentanti parlamentari del popolo sovrano (una volta), sulle ali del fatuo sostegno dei “poteri forti”, che poi sono in verità deboli, come quegli sfruttatori dello Stato che rispondono al nome degli Agnelli e compagnia bella, quelli coi lingotti d’oro nascosti nei caveau dei paradisi fiscali, quelli stessi della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. The End.