La repubblica degli utili zelanti

di Salvatore Fiorentino © 2022

Mussolini aveva capito gli italiani e per questo se ne impossessò agevolmente. Aveva capito che ad ogni italiano doveva dare una briciola di potere, ancorché del tutto inutile, da gestire. Ogni cosa e ogni angolo della società dovevano avere un “capo” a cui affidare un compito. Caposcala, capocondominio, capoquartiere, capo purchessia. Sapeva benissimo che l’italiano medio, investito di questo compito, di questo potere, ne avrebbe subito abusato, giustificando ciò con la fedeltà verso chi lo aveva nominato, come se l’abuso di potere fosse un tributo dovuto come ringraziamento per l’onore ricevuto. E il duce incassava questo omaggio, probabilmente in cuor suo irridendo la sterminata pletora degli utili idioti, ottenendo l’obiettivo, altrimenti impossibile, di sottomettere il popolo alla sua legge, non ammettendo contraddittorio, affogando nella censura e nella violenza ogni conato di ribellione o disobbedienza, sino a privare del lavoro i cittadini senza tessera.

Le colpe di Mussolini sono in verità da addossare a quegli italiani, la stragrande maggioranza, che non subirono ma sposarono convintamente la sua causa, divenendo più “realisti” del re, come si addice a chi sia privo di personalità, di riferimenti ideali e non cerchi altro che tentare goffamente di compiacere il potente di turno, per ingraziarselo miseramente. E’ stato ed è quindi facile, per questi diversi milioni di italiani, lavarsi la coscienza una volta caduto il dittatore. La retorica dell’antifascismo, quello interessato e vuoto che abusivamente si confonde con l’altro di chi non ha mai piegato la testa alla dittatura, è stata solo recentemente superata dalla retorica antimafia, quella “double face”, quella di Montante e dei suoi padrini politici e non, preti, magistrati e prefetti compresi. La storia scorre, ma gli italiani restano eguali nell’indole, di “utili zelanti”. Tanto capaci di titanici sforzi per aggirare la legge, quanto pronti a sottomettersi al potere del momento.

Ora, che il popolo sia bue (o pecora) ce ne possiamo fare una ragione, ancorché a malincuore. Ma ciò che non possiamo di certo accettare è il livello infimo (e infido) di chi questo popolo dovrebbe informarlo, sicché possa formarsi un’opinione e quindi magari avviarsi verso un processo di emancipazione dall’ignoranza e dai luoghi comuni che poi producono un pessimo cittadino, determinando con la disinformatia una società deteriore. Non occorre spendere altre parole, del resto sarebbe inutile, per stigmatizzare il fatto che la stampa italiana sia oggi quanto mai servile verso gli interessi di poche centrali di potere, economico e finanziario innanzitutto, alle quali soggiace anche il potere esecutivo e legislativo, in una democrazia solo apparente e nella quale la Costituzione viene calpestata innumerevoli volte ogni giorno, senza che i suoi garanti si preoccupino di tutelarla come di dovere, limitandosi a solenni discorsi grondanti buoni propositi.

Così come non è possibile accettare che chiunque abbia l’onere, in quanto svolgente funzioni pubbliche, di assolvervi “con disciplina e onore” (come recita a chiare lettere la vigente Costituzione), si lasci trascinare dall’ondata del potere del momento per disattendere quelli che sono i cardini della democrazia, dei diritti umani, delle fondamenta della repubblica italiana (declamata in ogni discorso pubblico, ma lasciata orfana di azioni concrete, dal bis-presidente pro-tempore), quella fondata sul lavoro e in cui tutti i cittadini devono (dovrebbero, il condizionale si impone) avere pari dignità sotto ogni profilo. Eppure constatiamo ogni giorno che costoro si adeguano meschinamente, mettendosi sotto i tacchi tanto la disciplina quanto l’onore, in una gara talvolta forsennata a mostrarsi ligi, allineati e coperti, verso tutto ciò che il potere dispone ed impone, escogitando motivazioni che farebbero impallidire l’azzeccagarbugli di manzoniana memoria.

Banderuole sdrucite al vento, “utili zelanti” pronti a saltare sul carro del prossimo vincitore. Tutti democratici, socialisti, liberali. Tutti “resistenti”, a parole. Basti pensare che, come riferisce la storiografia senza veli, i Partigiani erano appena 1500 nel settembre del 1943, non più di 30.000 nella primavera del 1944 e almeno il doppio in estate, quando la liberazione di Roma e Firenze annunciava la vittoria degli alleati. Per lo più erano renitenti alla leva, imboscati senz’arte né parte, solo la minoranza (come avviene sempre) era mossa da nobili ideali. E non a caso diventeranno 250.000 al 25 aprile 1945 e milioni a guerra finita. Oggi gli italiani sono pressoché tutti antifascisti (compresi i post fascisti, da quando Gianfranco Fini dichiarò che il fascismo era il “male assoluto”) rispetto ad un regime finito impiccato a testa in giù. Ma asserviti ai nuovi “fascismi” che dispongono e abusano del potere per soggiogare il popolo in nome di interessi incompatibili con la democrazia.

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