Armiamoci e morite

di Salvatore Fiorentino © 2022

Ai nipotini di Mussolini non è sembrato vero che il governo dei “migliori”, dei Draghi, delle Brunette e delle Carfagne, abbia addirittura fatto proprio un ordine del giorno di Fratelli d’Italia, unico partito all’opposizione, a favore della abnorme spesa militare per la NATO, ossia dell’organizzazione che ha fomentato la guerra in Ucraina, causando sofferenze inenarrabili ad un popolo inerme. In verità – nessuno fa niente per niente, figurarsi un anaffettivo come l’attuale premier italiano – era l’ennesima trappola del banchiere neoliberista monetarista, affamatore dei popoli eredi delle civiltà antiche, da Atene a Roma, leader prestavolto delle élite finanziarie euroatlantiche, le stesse che vorrebbero continuare ad imporre il loro dominio sul globo ben consapevoli della loro condizione inesorabilmente declinante, sfruttando l’Europa e i suoi popoli come agnelli sacrificali da immolare per poter sopravvivere a qualunque costo (“whatever it takes”, Draghi dixit).

Mentre la storia e, soprattutto, la geografia dicono altro. Che il futuro è del continente euroasiatico. Perché la Russia è più “europea” degli Stati Uniti d’America. E, non a caso, è questa la radice profonda del nuovo – previsto, e dagli USA persino pianificato – focolaio di guerra divampato nel cuore di un’Europa che dopo gli orrori del nazifascismo aveva invece creduto nella pace perpetua, così tanto da mettere al primo posto le questioni economiche e finanziarie, la moneta. Rasentando l’idolatria per l’Euro, quasi fosse la panacea per le nuove generazioni, mentre molto diversamente si è rivelato l’unico e costrittivo vincolo per tenere insieme stati membri che restano divisi a causa della manifesta incapacità di coltivare, né tanto meno valorizzare, gli aspetti ideali e “politici” di quell’Unione che sarebbe dovuta essere, oggi poco più che un assemblaggio burocratico in cui le divergenze vengono soffocate con l’autoritarismo emergenziale dello stato di eccezione.

Per questi motivi, è evidente – ma persino ovvio – che gli USA non vogliano la pace in Europa, mentre lavorino incessantemente perché la Russia rimanga impantanata in Ucraina in un conflitto atipico e senza via d’uscita, una sorta di Vietnam europeo, da cui infine essere costretta a ritirarsi logorata e di fatto sconfitta, lasciando il Vecchio Continente profondamente ferito e diviso, al punto di compromettere per sempre una prospettiva di unione euroasiatica, questa davvero esiziale per gli interessi vitali degli americani e di chi, come Mario Draghi, lavora per loro a libro paga dai tempi del ministero del Tesoro, passando per Goldman Sachs, e finendo per ricevere, da un presidente della repubblica più attento alla ragion di stato (dettata dalle élite) che al volere del popolo sovrano, l’incarico di governare il Paese, per la definitiva mortificazione del mandato popolare espresso alle consultazioni elettorali del 2018 e la neutralizzazione di quelle del 2023.

L’alleanza tra M5S e PD si conferma, alla luce dei nuovi scenari bellici, davvero contronatura, ma viene imposta dai potentati euroatlantici, che vedono come fumo negli occhi ogni deriva “sovranista”, perché in grado di mettere in crisi il paradigma “democratico” volto alla prosecuzione dell’egemonia globale americana. Gli USA avevano deciso di rimuovere in Italia la “prima repubblica” perché ormai espressione di un’autonomia politica che infastidiva i liberatori/occupatori, i quali così puntarono tutto su i “democratici della sinistra”, gente pronta a sotterrare l’ideale di una società fondata sul lavoro insieme con la falce e martello senza batter ciglio di fronte alla prospettiva di poter acquisire la leadership tanto bramata sin dalla teoria “gramsciana” delle “casematte del potere”, brandendo la scimitarra della lotta alla corruzione e alla mafia per falcidiare i nemici politici, grazie alla rilevante influenza su buona parte della magistratura.

Che gli americani fossero “guerrafondai” è noto da sempre. Mentre la notizia è che il Partito Democratico italiano ha ormai dismesso del tutto ogni remora, dichiarandosi favorevole alla guerra e alle armi, sposando la linea a stelle e striscie del premier Mario Draghi. Si tratta dell’apice di una “evoluzione” politica che ha origine nel bombardamento di Belgrado del 1999, a cui l’Italia partecipò direttamente sotto la guida del primo presidente del consiglio dei ministri proveniente dalle fila degli ex comunisti: Massimo D’Alema. Lo stesso appena scoperto con le mani nel sacco di un incredibile traffico di armi con la Colombia che gli avrebbe fruttato, insieme ai suoi compagni di ventura, ben 80 milioni di euro a titolo di “consulenza”, un affare che coinvolge produttori a prevalente capitale pubblico come i colossi “Fincantieri” e “Leonardo”. Ed è certo un caso che la “Fondazione Leonardo” sia presieduta da Luciano Violante, il profeta della conquista del potere per via giudiziaria.

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