Macelleria americana

di Salvatore Fiorentino © 2022

Con l’espressione idiomatica “macelleria messicana” si intende una serie di violenze inaudite perpetrate solitamente in un teatro di guerra, ma non solo. La frase, che trarrebbe origine dalle gesta efferate compiute durante la rivoluzione messicana del primo Novecento, fu attribuita al capo partigiano Ferruccio Parri, al tempo presidente del Consiglio del Comitato di Liberazione Nazionale, che l’avrebbe pronunciata per esternare la sua ripugnanza al cospetto della scena macabra che gli si presentò a Milano, presso piazzale Loreto, dove il 29 aprile 1945 i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri gerarchi fascisti vennero appesi per i piedi alla tettoia di una pompa di benzina così da essere vilipendiati a colpi di sassate e di arma da fuoco dalla folla inferocita. Di “macelleria messicana” si parlò anche con riferimento ai fatti del G8 di Genova nel 2001, quando le “forze dell’ordine” assaltarono gli inermi giovani occupanti della scuola Diaz.

Con il conflitto armato scoppiato in Ucraina la parola “macelleria”, quale sinonimo di violenza oltre ogni limite, è riapparsa nel linguaggio dei leader mondiali, ed in particolare del presidente degli Stati Uniti d’America, il malfermo ed anziano Joe Biden, democratico, precipitato a poco più del 30% dei consensi in patria, che non ha esitato, durante una recente visita a Varsavia, ad appellare come “macellaio” (butcher) il presidente russo Vladimir Putin, in quanto reo di condurre un’offensiva degna di un criminale di guerra nonché di essere responsabile di un vero e proprio genocidio. Anche se alcuni leader, come Macron, hanno preso più o meno esplicitamente le distanze da questa “escalation verbale”, che è evidentemente controproducente per il raggiungimento quanto meno di una tregua, non si comprende per quale motivo (lecito) gli americani e la quasi totalità degli “alleati” occidentali debbano alimentare il massacro dell’inerme ed incolpevole popolo ucraino.

Appare invece manifesto l’unico motivo (non lecito) per cui l’Occidente, cosiddetto, stia esercitando il massimo sforzo perché la guerra in Ucraina possa durare quanto più a lungo, sicché da logorare la Russia quale premessa per la destabilizzazione del regime putiniano e lo sfondamento verso est della NATO, anche in chiave di contrasto all’avanzata economica della Cina e degli altri paesi emergenti che contano la metà della popolazione mondiale, fatto che potrebbe per la prima volta nella storia mettere in discussione la primazia degli USA, in quel ruolo di incontrastati ed incontrastabili dominatori globali che si erano ritagliati dopo la dissoluzione dell’URSS e l’archiviazione dell’ideologia comunista, basando la loro economia su una abnorme spesa militare, che nel solo Afghanistan ha toccato la stratosferica cifra di 2300 miliardi di dollari in vent’anni, col risultato che, poco dopo il frettoloso ritiro delle truppe a stelle e strisce, i talebani hanno ripreso il potere.

Provaci ancora Zio Sam, potremmo ironizzare. Se non fosse che ad ogni tentativo lo Zio dell’America lascia sul campo centinaia di migliaia di morti civili, donne e bambini compresi. Sempre per restare in Afghanistan, solo perché è stata l’ultima prodezza degli “americani”, lì sono stati uccisi mezzo milione di bambini. Ma, a dire della allora Segretaria di Stato statunitense (l’omologa del ministro degli esteri italiano), Madaleine Albright (nata Marie Jana Korbelová a Praga nel 1937 e morta a Washington nel 2022), “ne é valsa la pena”. La signora adesso se la vedrà col tribunale dell’Aldilà, dove – almeno si spera – gli “americani” non possono mettere bocca, visto che sulla Terra controllano gli organismi internazionali di garanzia, ONU in primis, non essendo più credibile alcuna iniziativa tanto dell’OSCE che del Tribunale dell’Aja, finché non sarà ristabilito un reale equilibrio e l’effettiva indipendenza di queste istituzioni dalla prepotenza USA.

Alla fine, il tanto declamato super premier Mario Draghi, traditore degli insegnamenti neokeynesiani del suo valoroso maestro Federico Caffè, sacrificati in nome di una fulminante carriera sotto l’egida del dio dollaro, fa la figura di un mentecatto qualunque, servo sciocco di un potere USA che si muove come un elefante in una cristalleria, armato fino ai denti e pronto a investire enormi risorse per la guerra condotta contro la Russia per interposta Ucraina (e, si vorrebbe, Europa), senza farsi scrupolo che per ogni dollaro di armamenti inviati c’è un inerme cittadino ucraino che rischia la vita, suo malgrado, senza capire cosa stia succedendo, perché non ha ancora compreso che il suo presidente Zelensky non è altro che un mediocre attore che si è trovato sul set del più drammatico dei reality show mai concepiti, uno che possiede un miliardo di dollari nel conto in banca e una superlussuosa villa a Miami dove ritirarsi non appena la macelleria americana avrà finito.

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