di Salvatore Fiorentino © 2022
E’ possibile immaginare (direbbe John Lennon) un mondo senza guerra? Forse solo quando e se l’umanità progredirà rispetto allo stadio evolutivo (presuntuosamente) definito come quello dell’ “homo sapiens”, che per la verità è un pò datato, risalendo a circa 200 mila anni fa. Campa cavallo che l’erba cresce, oppure sotto la panca la capra campa, sopra la panca la capra crepa? Potevamo chiederlo a Stanley Kubrick, che forse in “2001: A Space Odyssey” aveva trovato la chiave dell’arcano, ma era il 1968 e tutti erano distratti dal Maggio francese e dalla “rivoluzione”, sicché non abbiamo fatto in tempo, almeno in questo mondo terreno. Altrove, chissà. Eppure la filmografia meno elevata, diremmo hollywoodiana, ha spesso rappresentato l’ideal-tipo del magnate che non sapendo più dare un senso all’accumulazione di smodate ricchezze comprende che la sua vita è destinata ad avere una fine piuttosto che un fine e inizia a sperimentare come rinviarla, questa fine.
D’altra parte, i popoli usciti da guerre devastanti hanno saputo scrivere costituzioni che dichiarano espressamente di ripudiare la guerra, ammissibile esclusivamente come strumento di legittima difesa, e non certo per assecondare mire espansionistiche né, tanto meno, per dirimere controversie internazionali. Ma, a ben vedere, forse l’unico paese che l’ha scritto chiaro e tondo è l’Italia, quello stesso in cui la classe politica che governa la pensa in modo opposto a quel popolo che dice di governare. Allora il problema del Belpaese non era tanto la corruzione dei partiti e la collusione con le mafie ai tempi della “prima repubblica”, quanto l’asservimento (ormai totale) alle politiche e agli interessi degli Stati Uniti d’America, da sempre legati dal cordone ombelicale con il Regno Unito. “Timeo Danaos et dona ferentes”, dissero i Troiani, e lo stesso dovevano dire gli italiani quando le truppe a stelle e strisce misero piede sul suolo dello stivale, per liberarlo ma soggiogarlo.
Così come non era affatto “democratica”, a dispetto della denominazione, la Germania dell’Est sotto il dominio dell’allora Unione Sovietica, oggi non è per nulla “democratico” quel partito italiano così detto e che rivendica la fedeltà cieca ai diktat della dottrina DEM americana, quella inaugurata dai famigerati coniugi Clinton, passati alla storia più per la grottesca gestione mediatica del “sex-gate Lewinsky” che per le imbarazzanti e-mail di Hillary che sarebbero in possesso di Julian Assange, motivo per cui il giornalista ed attivista dell’organizzazione WikiLeaks – quella stessa che ha svelato documenti riguardanti i crimini di guerra commessi dagli USA – già privato della libertà personale, oggi rischia persino la pena di morte una volta che sarà estradato nella presunta patria della democrazia allo stesso modo di come, nell’illiberale autocrazia russa, l’oppositore del regime di Vladimir Putin, Alexei Navalny, ha rischiato e rischia la vita, previe torture.
Che in Italia il livello di democrazia sia sceso sotto la soglia di guardia era ormai chiaro con il golpe di palazzo che aveva portato a capo del governo un signore non legittimato né gradito dalla maggior parte degli italiani, ma imposto e protetto da ogni critica con la scusa dell’emergenza continua, prima il covid poi la guerra, domani chissà cos’altro. Editorialisti di punta dei maggiori giornali italiani hanno ipotizzato se non auspicato il “commissariamento” perpetuo, con Draghi plenipotenziario, della democrazia per la manifesta incapacità dei partiti, ossia per la ovvia riottosità a farsi dettare l’agenda politica da poteri semi-occulti, recidendo di fatto ogni rapporto con il cittadino elettore, ridotto a mero suddito a cui imporre se del caso restrizioni e punizioni unilaterali, sino a privarlo della libertà personale, del diritto al lavoro, della possibilità di garantire a sé stesso e alla propria famiglia la sopravvivenza. E chi osa contraddire il verbo del governo è fuorilegge.
Quei pochissimi intellettuali ancora rimasti vengono messi alla berlina, ostracizzati, sospesi dallo stipendio. Quei pochissimi giornalisti che ancora possono definirsi tali vengono biasimati, bannati, oscurati, costretti ad organizzare trasmissioni semi-clandestine. La RAI a stelle e strisce non consente ai propri giornalisti, ancorché autorevoli, di esprimere una sola parola che possa infastidire gli USA (la NATO), perché costoro vengono immediatamente bollati come pericolosi filoputiniani, ossia una specie che merita ogni trattamento deteriore, non essendo titolare dei diritti costituzionalmente garantiti da una Carta che è sempre più straccia, con il silenzioso beneplacito del suo garante, che non riesce a darsi il coraggio come quelli, diceva Manzoni, che non ce l’hanno. E nostante tutto, ogni giorno che passa, sempre più cittadini italiani (e probabilmente europei) si rendono conto di non volere la guerra. La guerra dei mercanti di democrazia.