A trent’anni dalle stragi

di Salvatore Fiorentino © 2022

Dopo trent’anni di antimafia, quella che si è formata e sviluppata a seguito delle stragi epocali di Capaci e via D’Amelio, è necessario voltare pagina. Nel senso indicato da Paolo Borsellino, che oggi ci parla per mezzo dei suoi figli, ed in particolare di Fiammetta Borsellino. Che ci consegna ora una verità drammatica, per certi versi sconcertante, ma che l’opinione pubblica più attenta aveva già da tempo intuito, iniziando a dismettere un atteggiamento “fideistico” verso i presunti eredi (che in verità non esistono) dell’ultimo testimone, Paolo Borsellino, che aveva visto il vero volto dello “Stato” restandone sconvolto, ossia quello del potere indicibile, che risponde a logiche ed interessi che sono, alla bisogna, non solo al di sopra delle teste dei cittadini, ma persino in grado di piegare gli organi del medesimo “Stato”, e che per questo motivo non ammettono impedimenti ed ostacoli, falciandoli con metodi brutali, ove non si possa asservirli o corromperli.

Non ci fidiamo più (ammesso che lo avessimo fatto) della magistratura, della politica e della società civile, in una parola degli “apostoli dell’antimafia”. E il riferimento non è solo agli esponenti di queste categorie caduti nel pubblico discredito come i Tinebra, i Contrada, le Saguto e i Montante, ma anche a quelli che ancora oggi hanno il coraggio (e ce ne vuole davvero tanto) di pontificare su “trattative Stato-mafia”, “sistemi criminali” e via discorrendo, come se questa ricerca della “verità” dovesse essere fuori dal tempo, senza che mai si possa andare sino in fondo per scrivere la parola fine. Per calcolo, per convenienza, per quieto vivere, per timore o per chissà cos’altro? Fatto sta che, nostro malgrado, non riusciamo più a fidarci neppure dei principali protagonisti dell’antimafia di questi trent’anni, che possiamo archiviare in una immaginaria galleria: Scarpinato, Lo Forte, Lari, Caselli, Grasso, Pignatone, Di Matteo, Lumia, Orlando, Fava jr, don Ciotti.

Quali allora i punti di riferimento a cui ancora guardare? Potremmo dire che se la “modernità” dell’antimafia ha fallito alla prova dei fatti, occorre tornare ai “classici”, ossia a coloro che non si credevano né si atteggiavano a “protagonisti” della lotta alla mafia, questa intesa in senso lato e quindi ben oltre la manovalanza militare (livello in cui vanno ricompresi anche i “capi dei capi” Riina, Provenzano e Messina Denaro), mentre interpretavano il loro ruolo secondo il senso del dovere innato nelle loro coscienze, ben consapevoli di andare incontro a gravi ed irreparabili conseguenze, senza per questo sentirisi o immaginarsi “eroi” o “superuomini”, né di meritare alcun onore o ricompensa. Non magistrati, politici, giornalisti, preti “antimafia”, ma solo magistrati, politici, giornalisti, preti. Perché la lotta al potere mafioso, connaturato nello Stato, non significava per loro alcun quid pluris da ostentare o rivendicare, essendo ciò a cui avevano dedicato la vita.

Paolo Borsellino ne é l’ultimo rappresentante: Chinnici, Terranova, Livatino, La Torre, Fava sr, don Puglisi. Nel momento della massima confusione dell’antimafia, fatta di improbabili soloni e sdrucite passerelle, occorre ritornare alla lezione, scolpita dalla loro gesta, di questi uomini che non hanno assecondato alcun timore, né esercitato alcun calcolo, né rincorso alcun secondo fine, nella sfida al potere deviato sino alle estreme conseguenze, così da lasciare un’eredità culturale e morale che costituisce quelle solide fondamenta, posate sulla roccia, da cui ripartire nelle ricostruzione di una società che voglia, innanzitutto, essere migliore di quella attuale. Perché, alla fine, la liberazione avverrà solo se saranno gli stessi cittadini a volerlo, quando invece di ricercare la raccomandazione ed il favore pretenderanno, a costo di rinunzie e sacrifici, di ottenere il loro diritto, ma niente di più. Perché l’unico modo per sradicare il potere corrotto è lasciarlo digiuno di clienti e questuanti.

Ecco che è giusto confidare, come ribadito da Paolo Borsellino nell’ultimo suo celeberrimo discorso pubblico, nelle giovani generazioni, quelle di ieri e quelle di oggi, quelle che furono giovani al tempo delle stragi e che hanno portato per trent’anni le cicatrici indelebili di tanto strazio per il Paese, e quelle di oggi che devono ricevere, necessariamente, questa dolorosa testimonianza, per proseguire il cammino, acquisendo una nuova consapevolezza per liberarsi dalla zavorra dei falsi o sterili profeti nonché dei turpi sciacalli travestiti da benefattori. Perché rimane quanto mai vero che: La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E che, inoltre: “Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”. Parola di Paolo Borsellino. Onoriamola sempre.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: