di Salvatore Fiorentino © 2022
Con la commedia “The Importance of Being Earnest”, rappresentata in tre atti per la prima volta nel 1895, Oscar Wilde gioca con l’assonanza, esistente nella lingua inglese, tra le parole “Ernesto” (Ernest), nome di uno dei personaggi, e “Onesto” (Earnest). Giacché la traduzione in italiano ha finito per oscillare tra “L’importanza di essere Onesto” e “L’importanza di chiamarsi Ernesto”. Difatti, nella commedia il personaggio a cui è attribuito il nome di Jack Whorthing simula di chiamarsi Ernest dato che la donna da lui amata gli ha confessato di voler sposare soltanto un uomo che porti tale nome, perché a suo dire, il suono, la vibrazione di quel nome, le scalda il cuore. Da qui l’intreccio degli equivoci dagli esiti paradossali, secondo la fine trama tessuta per mettere alla berlina il perbenismo dell’epoca vittoriana.
Ma perché è così importante chiamarsi (essere) Ernesto (onesto)? A cosa risponde, nelle evoluzioni delle società, quella che, secondo i punti di vista, è per taluni un’esigenza, un’aspirazione, un obbligo, ovvero per talaltri una condizione fastidiosa, deprecabile, da rifuggire o persino da irridere? Una prima risposta, sempre nell’ambito letterario, può venire dalla commedia, rappresentata in tre atti al debutto del 1917, con cui Luigi Pirandello mette in scena “Il piacere dell’onestà”. Angelo, un uomo semplice, nell’aiutare una ragazza sfruttata dal marchese Fabio, assume una gravosa responsabilità che dà un senso alla sua vita, e così facendo fa sfumare i piani torbidi del nobilotto, che pertanto gli giura vendetta, cercando di tendergli ogni tranello per dimostrarne la disonestà, ma alla fine fallendo nel proposito.
Da un punto di vista sociologico, secondo Max Pohlenz, honestum deriva dal concetto greco di kalon inteso come bene morale che viene quindi trasposto nella realtà romana da Cicerone con il richiamo all’idea di honor, fondamentale nella società latina. In questo senso, si tratta di tutto ciò che in genere riceve pubblicamente apprezzamento o stima. E da qui inizia ad insinuarsi il relativismo che corrompe l’integrità del concetto di “onestà”, facendogli assumere una doppiezza che è talvolta strumentale al sentire comune di una certa epoca o di un certo ambito sociale, culturale e persino territoriale, laddove il concetto di onestà si fa ridurre a quello di legalità, ossia del conformarsi alla legge vigente in quel tempo e in quel luogo, con ciò completandosi la depauperazione del portato dell’originario kalon.
Appare allora chiaro che l’onestà non si può ridurre ad un mero rispetto delle regole formali, ad una condotta scevra da atti sanzionabili in conformità alle leggi vigenti, mentre è il complesso di diverse qualità morali e civili che si radicano nell’età infantile per sedimentarsi nell’età adolescenziale e consolidarsi nella vita adulta. Qualità che pertanto derivano essenzialmente dall’esempio impartito dalle figure di riferimento nella famiglia, laddove si insegni con quotidiani atti di vita vissuta a non ottenere i propri diritti a scapito di quelli degli altri, ad essere leali con il prossimo nella coltivazione della propria dignità e decoro, innanzi tutto mediante il rispetto della parola data, nell’articolazione di una scala di priorità che metta al primo posto i valori umani ed in secondo piano i beni materiali.
La più grande disonestà è quella di pensare che l’onestà sia degli sciocchi, degli umili e di chi non è abbastanza furbo e capace ad affermarsi sgomitando e calpestando gli altri, a prevalere sottraendo al prossimo con l’inganno e il tradimento non solo i denari ma persino gli onori, la dignità, la reputazione, come ad esempio avviene con la denigrazione gratuita, la delegittimazione volta a far risaltare qualità o capacità in verità non possedute e che mai saranno raggiungibili dal disonesto con le proprie forze e con i propri mezzi. Senza le qualità morali e civili degli uomini onesti, che solo per questo sono uomini liberi, la società non potrà che disgregarsi per regredire allo stato primordiale del homo homine lupus ed è per questo che chi abbia a cuore le sorti della convivenza civile non potrà mai rinunciarvi.
(24/01/2016)