di Salvatore Fiorentino © 2022
Ci sono tanti tipi di quaraquaqua, ossia quelli che blaterano, blaterano, blaterano, ma senza alla fine costruire nulla di concreto o di stabile. Molti, troppi, castelli di parole, di carte, di sabbia, destinati a durare sino al primo soffio di vento avverso. Tra questi, quelli più quaraquaqua di tutti sono coloro che danno la colpa agli altri delle proprie scelte, quando si rivelano errate e talvolta persino catastrofiche. Sono quelli che denigrano i propri sodali quando parlano col nemico o addirittura in pubblico, tradendo un complesso di inferiorità insuperabile. E difatti sono i peggiori traditori, perché tradiscono sé stessi, cadendo rovinosamente ancora più in basso dei traditori dei benefattori che, secondo Dante, rappresentano la sentina dell’umanità. Esaminandone il curriculm vitae, si può constatare che sono in buona sostanza dei falliti di successo, abili a fiutare il vento e seguirlo come rabdomanti, pseudo sciamani e affabulatori di popolo a buon prezzo.
Beppe Grillo è uno di loro. Lo chiameremo quaquaraGrillo. Comico irrequieto che ci dovrebbe spiegare come ha fatto a lavorare in RAI, laddove sono tutti raccomandati. Poi assunse i panni della vittima nel momento in cui sputò nel piatto dove lautamente mangiava e per questo ne fu allontanato, per una questione di minimo decoro. Fece ridere poco la battuta sui socialisti che rubavano. Anzi, retrospettivamente, può dirsi che fu una marchetta a beneficio degli americani, quelli che volevano sovvertire la prima repubblica dei Pippi Baudi per soppiantarla con quella dei Pippi Kennedi, come da li a poco accadde. Guardacaso, in un recente commento di una economista indipendente che non ha paura di passare per filo-putiniana, le vite di Beppe Grillo e di Volodymyr Zelensky vengono passate al setaccio come singolari “vite parallele”, evidentemente serventi certi poteri occidentali nel momento che occorre sacrificare le democrazie e i popoli sull’altare dell’alta finanza.
Beppe Grillo aveva la tessera del PD e, tralasciando il luogo comune dei natali genovesi, ha sempre avuto la testa agli affari, tanto è vero che ha saputo trarre profitto persino da un apparentemente innoquo blog dove pubblica esternazioni di mediocre livello (ultima quella davvero banale sui traditori dei benefattori), talvolta dietro sontuoso compenso, come per alcuni amici armatori di cui declamava le nobili gesta a cachet, fatto per cui è indagato. Siccome non riusciva a farsi sentire nel PD, nonostante le sue caciarate, grazie al suggerimento di Piero Fassino, insuperabile profeta di sventure, decise di farsi un partito. E siccome i partiti erano fuori moda, pensò di farsi un movimento. Così nacque il Movimento Cinque Stelle, l’apriscatole del sistema per metterci dentro i comuni cittadini che, come Luigi Di Maio, avrebbero garantito gli interessi della gente comune, quel tanto vituperato “popolo” a cui la Costituzione affida la sovranità che però la malapolitica gli sottrae.
Non appena preso il potere, il M5S, Grillo in testa ed a parte le solite mosche bianche difatti subito avversate soprattutto dal fuoco “amico”, è diventato più realista del re, in una metamorfosi che neppure Kafka avrebbe osato immaginare, divenendo di fatto impresentabile al cospetto degli elettori che gli avevano concesso ampia fiducia, facendone il primo partito alle elezioni del 2018, con la maggioranza relativa del 33%. Del resto, sia Mao Tzetung che Giggino Di Maio, seppur con stature ed in epoche diverse, hanno mostrato la consapevolezza del fatto che il potere corrompe, così come ben diceva un certo Andreotti, a cui pare ispirarsi politicamente l’attuale ministro degli esteri novello scissionista dal M5S in vista del terzo mandato, sul potere che “logora chi non ce l’ha”. Il governo Draghi, il peggiore (dal punto di vista del popolo) che l’Italia abbia mai avuto è nato solo grazie al gentlemen agreement tra l’Elevato e il banchiere affamatore.
Grillo e Zelensky sono accomunati, come è stato acutamente osservato, non tanto dall’essere stati comici di discreto successo popolare, quanto dal fatto di utilizzare strumentalmente le tecniche di comunicazione che il loro precedente mestiere gli ha consentito di padroneggiare, tuttavia essendo sprovvisti di competenze politiche e di governo oltre la facile propaganda, anche efficace, che però, a lungo andare, logora chi la fa, perché ad essa non corrisondono fatti neppure minimamente conseguenti. Come è tipico dei quaraquaqua, solo che qui siamo di fronte a chi si arroga il potere di decidere per milioni di persone inermi ed indifese, ingenuamente fiduciose verso i bei discorsi del leader, salvo poi constatare tutt’attorno macerie fisiche e politiche che ci stanno seppellendo al posto della fatidica risata che questi ex comici non sono più in grado di suscitare nell’audicence. Dargli ancora ascolto significa consegnarci alla devastazione irreparabile.