di Salvatore Fiorentino © 2022
La più celebre frase sul potere (“logora chi non ce l’ha”) la pronunciò Giulio Andreotti, al secolo Belzebù o il Divo, a secondo dei punti di vista. Nel momento in cui la lotta alla mafia diventa lotta politica, Andreotti diviene il primo nemico della mafia, perché comprende che i “corleonesi” lo hanno tradito e vogliono “comandare”. Come dire, il cane che non riconosce più il padrone. E questo cane va quindi immediatamente scacciato, bastonato. L’asse atlantico si sposta dalla Democrazia Cristiana ed i partiti alleati (PSI, PRI, PLI, PSDI) al versante, sino al 1989 escluso da ogni ipotesi di governo, degli ex comunisti, adesso sedicenti “democratici”, ritenuti più affidabili perché più facilmente manipolabili, in quanto disposti ad ogni compromesso pur di sedere nelle stanze del potere, compreso il tradimento dei loro ideali che furono, la difesa dei lavoratori e delle fasce deboli della popolazione, la legalità effettiva e non solo formale, la lotta alla mafia, quella vera.
Solo in questa chiave si spiega l’apparente paradosso della chiamata di Falcone a collaborare col governo Andreotti, quanto mai criticata da quegli stessi sinedri togati che ne impedivano l’attività ad ogni livello, perché si stava raggiungendo la verità, e questa verità non poteva essere svelata, perché tirava dentro il rapporto tra mafia e politica, dentro “mafia ed appalti”, la sinistra sedicente legalitaria e antimafiosa, quella già designata per governare per conto USA la colonia Italia. Ecco perché dopo Borsellino abbiamo avuto presunti amici ed eredi che se non furono all’altezza di proseguirne le gesta si dimostrarono però lesti a raccoglierne i benefici come professionisti, a pieno titolo, di quell’antimafia che, come il potere, “logora chi non ce l’ha”. Sono gli stessi che nel momento che pronunciano discorsi solenni sul palco del 19 luglio (“Caro Paolo …”) non disdegnano di chiedere la raccomandazione ad un falso paladino dell’antimafia.
Post comunisti, dio ce ne scanzi. Così come dai post fascisti. Ora si preparano a governare. Dopo il disastro dei Cinque Stelle, che hanno illuso il popolo arso dalla sete di un quanto mai agognato cambiamento, lo scenario politico si presenta come quello che segue il fall-out di una deflagrazione atomica, ossia una desertificazione mortifera e mortale. Ma i post fascisti, che avevano interrotto il loro digiuno di potere coi fasti di Alleanza Nazionale, sono da tempo lontani dalle stanze dei bottoni e comunque ancora oggi visti con diffidenza a causa della pregiudiziale “antifascista”, agitata ad ogni piè sospinto da quelli che si iscrivono alla parte “giusta” della storia, salvo poi brigare contro gli interessi nazionali propugnando un “draghismo” senza Draghi, volto a depauperare il popolo e consegnare alle multinazionali ciò che resta del Belpaese, distruggendo una volta per tutte il tessuto economico tipico italiano, quello delle piccole e medie imprese e degli autonomi.
E se il Partito Democratico, sedicente ma non certo progressista e tutore della giustizia sociale, sposa “l’Agenda Draghi” assumendola a “linea del Piave” del fronte “antifascista”, la conseguenza è consegnare il potere alle destre (e non è detto che sia un male, quanto meno minore rispetto al governo dei “democratici”) mettendo all’angolo il leader di quel che rimane del M5S, Giuseppi Conte. Il quale ultimo ha giustamente lanciato un messaggio chiaro e tondo in Sicilia, dove la candidata del PD Chinnici, vincitrice delle primarie con Fava (Cento passi) e Floridia (M5S), si attenderebbe l’appoggio della coalizione che sembrava ormai definita tra M5S e PD. E suscita quanto meno pena vedere la figlia di uno dei più valorosi magistrati siciliani – caduto per aver puntato dritto al rapporto tra mafia e politica rinvenibile in primis negli ad oggi irrisolti omicidi eccellenti di Pio La Torre e Piersanti Mattarella – invocare il sostegno di un personaggio come Raffaele Lombardo.
E’ la maledizione del potere, che colpisce inesorabilmente chi lo persegue, anche se inizialmente mosso da nobili ideali e commendevoli fini, stravolgendo, divorando chi scenda a patti nell’illusione di governarlo. Si è visto in modo lampante nella repentina metamorfosi manifestata da personaggi altamente improbabili – vedasi per tutti Giggino Di Maio – che da simpatizzanti dei “gilet gialli” francesi si sono ritrovati intruppati con i Brunetta, le Gelmini e le Carfagna, in una sorta di Arca di salvataggio delle poltrone tanto immeritatamente acquisite quanto a lungo scaldate. Ecco che l’unica notizia positiva in questo scenario da Guernica della politica italiana è la intransigente conferma del limite ai due mandati elettivi stabilita da quello che rimane del M5S, misura sanitaria indispensabile per le poltroniti acute con prognosi irreversibile ed infausta (per il popolo). E se la virata sul “sociale” dei M5S è apprezzabile, essa si rivela dolosamente tardiva.