di Salvatore Fiorentino © 2022
Una delle principali mistificazioni con cui viene raggirato il popolo è quella di far credere che l’esercizio del voto popolare sia sinonimo di democrazia. Niente di più falso. La conferma di ciò non deve venire da un giurista, né da un politico, ma da un letterato, dato che, come abbiamo più volte sottolineato, l’unica verità che conta, quella umana, ci è data dalla letteratura, che distilla il respiro grande della storia, senza dover dimostrare niente a nessuno. E, pertanto, non è certo un caso che Mark Twain abbia affermato che “se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare“. E’ vero che il voto popolare è il presupposto per l’affermazione della democrazia, ma è ancor più vero che la democrazia non si realizza senza che il voto popolare abbia una effettiva incidenza sulle decisioni che vengono adottate da chi ricopre le cariche istituzionali preposte. Quante volte è stato vanificato in Italia il responso delle urne? E non parliamo di brogli, ma di giochi di palazzo.
Pressoché sempre in occasione dei referendum. E tra questi ultimi vanno ricordati quelli, di fatto disattesi, in materia elettorale (invero possibili solo a causa di un svista tipografica al tempo della pubblicazione della Costituzione, dato che l’emendato art. 75 non avrebbe ammesso il referendum in tale ambito) con cui il “popolo sovrano” si espresse in modo inequivocabile nel 1991 e nel 1993, chiedendo la preferenza unica e la prevalenza del sistema maggioritario rispetto a quello proporzionale. Ciò per evitare, nel primo caso, fenomeni diffusi di inquinamento del voto tramite il controllo degli elettori da parte dei ras dei territori e, nel secondo caso, per garantire che all’indomani delle elezioni ci fosse un vincitore certo (mater semper, pater nunquam) a cui affidare il governo del paese senza che intervenissero giochi di palazzo, “unti dal signore” o “tecnici” presunti salvatori della patria, ma non votati da nessuno ed imposti dall’establishment pro domo sua e contra populos.
La prova che la volontà del “popolo sovrano” sia stata ad oggi elusa si ha nell’evoluzione (involuzione è dir poco) della normativa in materia elettorale che seguì l’esito referendario. Si inizia col “mattarellum” (parto dell’attuale presidente della repubblica) per il periodo 1994-2005 con cui viene introdotto, ancorché in parte, il sistema maggioritario, per poi giungere al “porcellum” (la cui paternità è da attribuire al leghista Calderoli) per il periodo successivo sino al 2014, con il quale non solo viene impedito il voto di preferenza, ma viene anche restaurato di fatto il sistema proporzionale. Con questa legge, dichiarata incostituzionale nel 2013, si sono svolte le elezioni politiche del 2006, 2008 e 2013. Dal 2016, sull’onda del “riformismo” renziano, entra in vigore la nuova legge elettorale, la cosidetta “italicum” (concepita dal piddino Rosato), subito bloccata per incostituzionalità. Ma emendata e riproposta nel 2017 (“rosatellum bis“) ed applicata alle elezioni del 2018.
Legge che verrà utilizzata giocoforza anche alle prossime consultazioni del 25 settembre 2022, con le quali si eleggeranno 400 deputati e 200 senatori, a seguito del taglio dei seggi derivante dalla riforma costituzionale del 2020. Un terzo degli scranni viene assegnato col sistema maggioritario (uninominale secco) e i restanti due terzi col sistema proporzionale a “listino bloccato” e con soglia di sbarramento (3% oppure 10% nel caso di coalizioni). E’ quindi del tutto evidente come, ad oggi, sia stato sostanzialmente tradito l’esito referendario degli anni ’90, non potendo l’elettore esprimere una effettiva preferenza nei confronti del rappresentante da mandare in parlamento né, tanto meno, essendo garantita la vittoria certa di questo o di quello schieramento ancorché sia il più votato, con il risultato di lasciare al “palazzo” ampia libertà di arbitrio nel momento della formazione del governo e conseguente irrilevanza, di fatto, della volontà espressa alle urne dal “popolo sovrano”.
La prova di ciò? La formazione dei governi del PD (Letta, Renzi, Gentiloni) senza una maggioranza politica; il tentativo del presidente della repubblica (Mattarella) di formare un governo di minoranza (Cottarelli) dopo il risultato avutosi alle politiche del 2018 (con il M5S al 33%); la formazione del governo giallo-rosso (M5S-PD) con una forzatura per portare al governo il PD e realizzare un’alleanza contronatura in vista delle elezioni successive; la forzatura dell’ennesimo governo tecnico (del presidente) con un indecoroso osanna al peggiore personaggio che potesse garantire il popolo, ossia il banchiere neoliberista monetarista Mario Draghi; il repentino scioglimento delle camere con fissazione delle elezioni anticipate a pochi mesi dalla scadenza naturale, mantenendo in carica lo stesso fallimentare governo Draghi invece che, come da prassi, consultare le forze politiche ed insediare un governo super partes per il traghettamento verso le urne. Ma tanto, cosa cambia?