di Salvatore Fiorentino © 2022
Se lo spin doctor della Meloni, il gigante buono Crosetto (di rassicurante, ma infida, pasta democristiana), si spinge sino ad aprire uno spiraglio per una eventuale riedizione del governo dei “migliori” – una sorta di sequel del “Draghi I” riveduto e corretto nel cast ma non nel copione – allora è chiaro che gli italiani sono prigionieri in patria. Ed è la peggiore delle galere possibili, quella senza mura e senza confini, dove (apparentemente) si può dire e pensare liberamente su tutto, salvo che su alcuni argomenti che il “regime” (come altrimenti definirlo?) non ammette al tavolo della discussione, pena l’ostracismo vigliacco e attuato in modo bieco e mai frontale, come ci si aspetterebbe dagli autentici “fascisti”, della serie (bislacca quanto si vuole) “tanti nemici tanto onore”, quella che fa il paio con il tratto distintivo dell’ “armiamoci e partite” (per maggiori dettagli rivolgersi ai parenti degli italiani inviati nella campagna di Russia con le scarpe di cartone e i cappotti di cotone).
Dopo Napoleone e Hitler, che fallirono miseramente, adesso la campagna di Russia la conducono gli europei, a proprie spese, ma per conto e nell’interesse degli USA. Questi ultimi disposti a tutto (“whatever it takes”, Draghi dixit) pur di mantenere il loro PIL dominante sul resto del globo, e cosa si vuole se debbano essere sacrificati l’Europa e la sua cultura. E’ l’Occidente, bellezza. Ecco che si comprende meglio la ragione della “Brexit”, ossia saltare fuori prima che sia troppo tardi da un treno ormai senza controllo e che è già predestinato al sacrificio, con tutto il suo carico di passeggeri e merci, nel tentativo di arginare l’orso russo e il dragone cinese, sacrificio utile quanto meno a procrastinare la fatidica ora della definitiva decadenza di quello che fu il Mondo Nuovo, ma che adesso appare consunto e morente a fronte della silenziosa e paziente tessitura di un mondo che aspira a soppiantare l’Occidente, questo Occidente, e che affonda le radici nelle antichissime civiltà orientali.
God Save The Queen. Ma neppure il cuore leonino di Elisabetta II ha retto di fronte alla sconsideratezza degli scapigliati (Boris Jonhson über alles, Donald Trump in secundis) ovvero azzimati (vedasi per tutte la “frozen” testa capigliata di Ursula von der Leyen) governanti del tempo presente, Macron (micron per gli amici) compreso. Ora con Carlo III Re le barzellette a corte sono assicurate, e non è un caso che i capi di stato, Mattarella II incluso, accorrano a testimoniare la loro vicinanza. Ma de ché, se stanno tutti alla canna del gas? Sicché non possono che venire in soccorso i Fratelli d’Italia per garantire, quanto meno, una degna sepoltura alle vestigia del Belpaese: “Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, L’Italia chiamò. Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, L’Italia chiamò” (copyright Goffredo Mameli, musica di Michele Novaro). La Meloni è pronta: a consegnarsi agli Amerikani, e senza inutili spargimenti di lacrime e sangue.
Ma ancora superiore alla Meloni, per capacità camaleontica e “paracelsica” nel rendere servigio all’Amerika, si staglia sulla linea dell’orizzonte della prossima contesa elettorale italica il fu avvocato del popolo, Giuseppi Conte, promosso dall’establishment che conta (veramente) per la sua innegabile (e dimostrata sul campo) capacità di dire (e fare) tutto e il contrario di tutto da una stagione all’altra (in questo senso, Silvio Berlusconi appare un triste dinosauro in pensione con la parrucca scolorita). Conte, che col M5S di Beppe Grillo (uno che lavorava alla RAI ai tempi del famigerato CAF, mica un novello Robespierre) ha sostenuto sino all’ultimo il governo Draghi con la motivazione (invero un pretesto subito palesatosi) dell’istituzione del ministero per la “transizione ecologica” (poi affidato al nuclearista Cingolani, nomen omen), ora cerca di raccattare il voto dei disillusi e degli scontenti rispetto al governo dei “migliori”, per offrirlo in dono al prossimo premier tecnico.
Conte tira la volata al M5S al sud, sulle ali del reddito di cittadinanza che altri (Meloni in primis) vorrebbero abolire, considerandolo niente altro che un incentivo per l’ozio dei più giovani, il che è effettivamente vero in un contesto desertificato dalle opportunità di lavoro equamente retribuito. E, così, il quesito è: meglio lavorare 10 o più ore al giorno sottopagate con 400 euro al mese o percepire il reddito di cittadinanza con somme superiori senza dover versare una sola goccia di sudore né sottostare alla voce del padrone? Come diceva qualcuno, “that’s the question”. Ma Conte è lo stesso che, se del caso, può governare sia con Salvini che contro Salvini, alleandosi con quel surgelato scaduto della politica italiana che risponde al nome di Enrico Letta, litigandoci oggi, per fare pace domani, della serie “marciare separati per colpire uniti”. Perché il disegno è chiaro: fermare la destra e poi rimettersi insieme per un governo di un nuovo “migliore” (Cottarelli).
In queste elezioni, come in quelle precedenti, comunque vada sarà il popolo a perdere. Perché nessuno dei commedianti in scena vorrà (né tanto meno potrà) governare in nome e per conto (e, soprattutto, nell’interesse) del popolo. Che rimarrà solo una mucca da mungere sino all’estenuazione, mentre tutti quelli, dal più sordido al più candido, che si affannano per ricoprire un ruolo in questa finzione della democrazia non aspirano ad altro che a soddisfare una miserabile ambizione personale, malcelata con la dichiarata buona intenzione di spendersi per il “bene comune”. Li abbiamo visti, li vediamo, quelli che si sperticavano in nome dell’onestà, gli apriscatole del sistema. Dove sono? Alla ricerca del seggio perduto, disperati di fronte alla prospettiva di doversi trovare un lavoro, di tornare tra i comuni mortali, tra quelli che fanno la lotta tra rincari energetici, aumenti inflazionistici e ridicoli ristori governativi. In queste condizioni l’unica risposta è disertare, in massa, le urne.