di Salvatore Fiorentino © 2022
“Il ritorno del Principe” è il libro con cui, nel 2008, l’ormai ex procuratore generale di Palermo, oggi candidato al senato sotto le insegne del M5S, ha messo nero su bianco la sua vera vocazione, quella del fine pensatore, applicata ad una sorta di filosofia morale del diritto e della politica. Sicché è evidente che il pregio che illumina la visione “culturale” di Roberto Scarpinato è quello della paziente sistematicità, mentre il difetto che la annebbia è invece quello della confusione tra la responsabilità penale e quella politica. Il risultato finale consiste in un’immagine chiara ma sfocata, laddove leggersi ciò che ciascuno può o vuole capire ed interpretare, aprendosi la ridda delle “archiviazioni” che dovevano essere “imputazioni” e viceversa. Su un dato, però, il libro appare profetico ed attuale e quindi condivisibile: “Il Principe è tornato”, anche se oggi, diversamente dal 2008, non appare in “forma smagliante”. Occorre adesso svelarne l’identità effettiva, una o più che siano.
Perché il Principe non va identificato con l’uomo (donna) solo(a) al potere, ma con uno o più sistemi di potere tra loro comunicanti come i vasi di Stevin. Ciascuno di questi sistemi ha i suoi “pupazzi prezzolati” (copyright Mario Draghi) che vengono cambiati alla bisogna, quando il tempo e l’usura li ha resi inservibili, impresentabili, o perché sono stati o si sono “bruciati”, costretti a mostrare il loro vero volto. Ecco il motivo per cui i ritratti apparentemente bonari, paciosi, candidi dagli occhi azzurrini, inoffensivi (Dorian Gray docet) sono anche quelli più durevoli e quindi ingannevoli. Ma per chi? Per il popolo, ossia quella massa informe di comuni cittadini, molto simile ad un gregge di pecore, che si illude di andare nella direzione che vuole, mentre vi è condotto senza possibilità di deviare, dato che ci sarà sempre un cane da guardia a vigilare. Il potere così inteso senza il popolo non esisterebbe, mentre non è vero il contrario, stando alla vigente Costituzione italiana.
Chi ha conosciuto personalmente Roberto Scarpinato sa quale sia la sua autentica indole, come uomo di potere, ambizioso di raggiungere postazioni di vertice, ottenute nella magistratura così come adesso vorrebbe nella politica, già aspirando alla poltrona di presidente della Commissione nazionale antimafia, quella che fu di Luciano Violante e di Giuseppe Lumia. Quest’ultimo caduto in disgrazia per essere stato il “padrino politico” del rivelatosi falso paladino antimafia che risponde al nome di Antonello Montante, al cospetto del quale persino l’ottuagenario presidente della repubblica (primo ex comunista e si spera l’ultimo) Giorgio Napolitano si sentiva in dovere di scomodarsi per alzarsi in piedi, quasi riverendolo, neppure fosse la Regina Madre. Secondo la procura della repubblica di Catania, Roberto Scarpinato ebbe un comportamento non consono, seppur non penalmente rilevante, nel momento che chiese aiuto a Montante per la progressione di carriera.
Ed ancora più arso dall’ambizione è l’attuale presidente del consiglio dei ministri dimissionario, il neoliberista monetarista Mario Draghi, colui che fu la mente operativa della dottrina Andreatta & Partners (Prodi, Ciampi, Bersani, D’Alema, Minniti, per tacer dei comprimari), ossia quella dello smantellamento scientifico dell’industria di stato, ma solo per la parte all’avanguardia che produceva ricchezza e prestigio per l’Italia, per questo procurando non pochi fastidi alla arrancante concorrenza di Francia e Germania, oltre che ai veri padroni d’Italia, gli U.S.A., ossia i mandanti dell’omicidio Moro. Del resto, con Enrico Mattei l’Italia era sulla cresta dell’onda in materia di energia, potendo divenire una potenza mondiale, ma con il sabotaggio dell’aereo privato dell’indomito manager italiano, commissionato dalle “Sette Sorelle” ai picciotti di Cosa nostra ed attuato presso l’aeroporto di Catania, le prospettive di grandeur del Belpaese svanirono miseramente.
Draghi sente di poter tornare come presidente della repubblica, visto che Mattarella dovrà farsi da parte, seguendo la prassi costituzionale inaugurata da Napolitano: bis se proprio serve, ma quanto basta. Così come Scarpinato è convinto di poter ottenere lo scranno più alto a palazzo San Macuto, ripristinando una linea di continuità tra tradizione (Violante) e innovazione (Lumia) una volta che l’antimafia di Montante è precipitata nell’ignominia, senza che molti, in primis il sopravvalutato don Ciotti, abbiano osato spendere una parola. Peccato che si siano bruciati entrambi con le loro improvvide e rancorose uscite contro il partito che risulta primo nelle intenzioni di voto del popolo italiano, dichiarazioni queste che sono frutto di una abitudine ad ottenere le postazioni di prestigio grazie al favor dei invece che col sudore della fronte, come accade ai comuni mortali. Quelli che vincono un concorso nel più sperduto dei comuni pur di non raccomandarsi né a Lumia né a Montante.