di Salvatore Fiorentino © 2022
L’Italia è donna. La Nazione è donna. La Repubblica è donna. La Costituzione è donna. La Democrazia è donna. Ma anche la Destra è donna, ed adesso pure la presidente del consiglio dei ministri (molti) e delle ministre (poche). Che poi persino i dizionari seguano la moda antica di separare tutto per genere riporta alla memoria le classi di scolari divise tra maschietti e femminucce, oppure, in anni seguenti, solo differenziate col fiocco azzurro o rosa sul grembiule rigorosamente nero con colletto bianco (che fatica ogni mattina la vestizione). Se veramente si volesse abbattere ogni barriera, ogni discriminazione, tra i generi, probabilmente si dovrebbe andare nella direzione opposta, ossia di non distinguere più le persone a seconda del loro sesso, fermo restando che le differenze, di ogni tipo, non possono essere omologate, ma rispettate e tutelate. Nessuno, forse, se n’era accorto, ma ci aveva già pensato la Costituzione, con l’art. 3. Bastava e basta solo applicarla.
Ergo, non dovrebbe fare notizia che la premier italiana è donna (almeno così appare, ma poi saranno affari suoi se per ricevere l’incarico così come per il giuramento si è presentata con una mise, giacca e pantaloni, total blue/black con camicia in tinta, di taglio prettamente maschile), ma che stavolta è stata apparentemente (il condizionale è d’obbligo) rispettata la volontà degli elettori, ossia del popolo “sovrano”. E neppure dovrebbe fare notizia che si tratta di un governo di Destra (senza centro, ormai sepolto il berlusconismo terminale), sempre che poi lo sia davvero, dopo che nella cosiddetta “seconda Repubblica”, seguente alla fine del pentapartito, la Destra, quella antisociale e antidemocratica, è stata incarnata da un partito sedicente Democratico e dai suoi parassitari “cespugli”, che sin dall’ammucchiata de “L’Ulivo” ha progressivamente (la parola è di sinistra) depauperato le classi lavoratrici, tanto i dipendenti che i lavoratori autonomi.
Ma oggi il plumbeo segretario di questo sedicente partito Democratico, abituato a governare senza il mandato popolare se non contra populum e nell’interesse degli speculatori finanziari che tutto perseguono tranne che il benessere e la pace dei popoli europei, invece di cospargersi il capo con la cenere dell’autocritica, si lascia andare alle grida spagnolesche: “opposizione, opposizione, opposizione”. Mentre l’azzimato camaleConte leader tuttifrutti del M5S, che per ora furbamente rimane in sordina, continua la costruzione degli specchi per le allodole, declinata attraverso l’ostentazione di un improvviso pacifismo ad oltranza, allo scopo di raccogliere ed intestarsi l’ormai maggioritario orientamento dell’opinione pubblica italiana (ma anche europea) che ha ben compreso come la guerra in Ucraina serva soltanto agli interessi economici degli USA, che se non possono indebolire la Russia stanno già indebolendo l’Europa, per trarne aggio.
Che Mattarella sia apparso rilassato e persino sorridente, sia durante le consultazioni lampo con la coalizione vincente così come durante il giuramento del nuovo governo, lascia intendere che tutto è andato secondo i piani del potere che conta veramente, quello che non abita nei palazzi istituzionali. Ed è lo stesso potere che ha subito richiamato all’ordine i leader europei, dalla von der Leyen a Macron, affinché si affrettassero a riconoscere la nuova inquilina di Palazzo Chigi. La Meloni ha vinto e convinto per aver saputo respingere il disperato assalto alla diligenza di un Berlusconi che non sa giocare altro ruolo che quello del protagonista, ancorché in negativo. Così come per aver ridimensionato un personaggio improbabile come Matteo Salvini, negandogli il tanto agognato ministero degli interni ed affidando la gestione dei porti al fido Nello Musumeci, orfano della presidenza della regione siciliana per far posto a Renato Schifani.
Sicché la Meloni si è dimostrata “non ricattabile” né da Berlusconi né da Salvini, il che in verità non sembrava un compito titanico dall’alto del 26% dei consensi popolari in confronto al dato ad una cifra (8%) raggiunto a stento da ciascuno dei riottosi alleati. Ma la vera partita, che si è iniziata a giocare prima delle elezioni, è tutt’altra e non viene trasmessa né in chiaro né sulle pay-tv, né tanto meno in streaming. Compresosi che il neoliberista monetarista Mario Draghi era ormai divenuto una figura invisa alla maggior parte degli italiani, nonostante il plateale trattamento di favore ricevuto dalla stampa, ove questi fosse rimasto al governo avrebbe dovuto assumersi la responsabilità dei fallimenti che stanno per arrivare (la recessione in primis, ma anche l’inadeguatezza del PNRR e delle istituzioni europee a fronteggiare la crisi energetica cosi come il conflitto russo-ucraino). Occorreva trovare una capra espiatoria, alla quale consentire solo la sovranità alimentare.
(continua)