di Salvatore Fiorentino © 2021
Lumia indagato per associazione a delinquere. La notizia è stata coperta, diversamente da quanto invece trapelato sulla stampa per altri co-indagati eccellenti, tutti nell’ambito del cosiddetto “caso Montante”, tra i quali l’ex presidente della Regione siciliana Crocetta di cui, come è notorio, Lumia è stato il mentore politico nonché lo stratega della campagna elettorale che lo ha portato a divenire governatore della Sicilia. Sicché molti sostengono, anche per averlo constatato direttamente, che il vero presidente fosse proprio l’ex senatore. Ascesa a Palazzo d’Orleans che, come ammesso dallo stesso Lumia, è stata determinata dal sostegno della Confindustria Sicilia, capeggiata proprio dall’ex paladino della finta antimafia.
Lo squarcio nel velo sinora intonso dell’antimafia di potere, che si può ritenere falsa e strumentale ad alimentare carriere ed affari, lascia intravedere scenari ancora più inquietanti di quelli che sono stati svelati recentemente, sebbene solo in minima parte, dagli esiti dei processi “trattativa Stato-mafia” e “Borsellino quater”, dato che, come è sinora emerso dalle cronache giudiziarie e come da tempo noto, Lumia intratteneva (intrattiene?) relazioni privilegiate con molte procure della Repubblica siciliane e con gli imprenditori affidati alla “protezione” di questa antimafia di facciata, tra cui quelli già mafiosi instradati entro asseriti “percorsi di legalità” che, in quanto tali, avrebbero dovuto certificarne l’affidabilità.
Ciò perché, dalle prime risultanze delle indagini, emergerebbe che il sistema della finta antimafia delle carriere e degli affari si basava (si basa?) su collaudati meccanismi di potere con il coinvolgimento, oltre che del sistema dei grandi media, anche di alti livelli istituzionali vicini politicamente a Lumia e al PD, tanto nella commissione nazionale antimafia (di cui Lumia è stato ininterrottamente componente per venticinque anni) che nella magistratura. Ecco che, se tali risultanze trovassero conferma, si potrebbero avvalorare le ipotesi che da tempo vengono riportate sui media minori, ossia che il sistema della falsa antimafia offre un formidabile scudo politico e giudiziario a protezione di quegli amministratori locali affiliati.
Ma vi è di più. Perché, stando sempre a quanto sinora emerso dalle indagini, questo scudo fornito dalla finta antimafia non si limiterebbe alla difesa da conseguenze giudiziarie di chi abbia dato adito, traendone altrimenti impensabili vantaggi economici e di carriera, al sotteso sistema di potere ibrido, ma predisporrebbe “protocolli” mediatico-giudiziari per l’annientamento, professionale e personale, di tutti quei soggetti, anche istituzionali, che vi si dovessero giustamente opporre a garanzia dei principi, quelli autentici, dell’antimafia e della legalità. Si aprirebbero, così, le porte degli enti locali, livello al quale inizia l’infiltrazione mafiosa sul territorio, ad un controllo esterno finalizzato alla deviazione dalla democrazia.
Non sarebbe quindi tanto la mafia ad infiltrarsi, quanto la finta antimafia. E se così stanno le cose, si impone oggi una rilettura retrospettiva e critica, alla luce del “caso Montante”, ma anche del connesso “caso Saguto”, della storia dei comuni siciliani sciolti per mafia negli ultimi venti anni. E tra questi spicca il caso del comune di Siculiana, dove l’allora sindaco ed alcuni dirigenti finirono processati per abuso d’ufficio e concorso esterno in associazione mafiosa (e solo dopo un lungo calvario assolti), per essersi opposti alle pretese del gruppo Catanzaro in ordine a quella che sarebbe diventata una delle più grandi discariche private isolane, indebitamente beneficiate, secondo gli inquirenti, dall’amministrazione Crocetta.
(20 novembre 2018)