di Salvatore Fiorentino © 2021
L’Italia ha sempre avuto bisogno di eroi. Nel calcio, prima emergenza nazionale, poi anche nella politica e financo nella magistratura. Gli eroi sono, guardacaso, quelli più amati, ma anche i più odiati, quelli che comunque hanno una vita, personale e professionale, che è una via crucis. La storia insegna come va sempre a finire: combattuti da vivi, adorati da morti. Negli ultimi quarant’anni, i magistrati hanno dominato la scena, progressivamente perduta dai politici, che un tempo furono statisti, ma che oggi sembrano delle larve senza midollo. Ci sono stati grandi uomini che sono stati magistrati e grandi magistrati che sono stati uomini. Non sempre la grandezza professionale coincide con quella umana. Vita, opere e omissioni.
Ulisse. Gli uomini sono distolti da molte sirene, che spesso ne segnano il destino. Il denaro in primo luogo, ma ciò vale per i più mediocri, per quelli che si accontentano davvero di poco. Li troviamo ovunque, a trafficare, prostarsi, umiliarsi, prostituirsi. Ed in questo ultimo girone, i più sventurati sono quelli che servono due padroni, come coloro che stanno con l’antimafia di giorno e con la mafia di notte. Sicché la vergogna mai provata diviene causa di incipienti calvizie o precoci incanutimenti. Attraverso vari livelli intermedi, giungiamo ai piani più alti, dove il movente non è più il vile denaro, ma il potere, sugli uomini, innanzitutto, e sulle cose. Tuttavia, il piano sommo è quello popolato da coloro che credettero di sacrificarsi per il bene.
Magistrati banditi. Nel senso di emarginati, estromessi, confinati nel loro oscuro ufficio a spalare con paletta e secchiello la marea dei faldoni discaricati da un’umanità sperduta nei gironi infernali di una giustizia che è un simulacro di sé stessa, dove i primi che violano le leggi sono coloro che dovrebbero garantirne il rispetto, dei ex machina, che si affannano per la rincorsa alla carriera, ad accaparrarsi il posto agognato, quelli che si sentono “delegittimati” non dalla stampa o dagli attacchi della politica, ma da un mancato invito ad una cena tra convitati che contano, colleghi che manovrano, le leve del potere giudiziario, che influiscono, che suggeriscono, che spartiscono posti ed incarichi agli amici di cordata.
Amara Palamara. Sembrava un tonno invece era un chinotto. Eppure, dai fasti del comando di una categoria, a capo di una corrente unicostituzionale, ma omnicomprensiva, è caduto nella rete come un qualunque pesciolino da saltare in padella, ed è oggi sulla graticola delle intercettazioni, che vengono messe in sordina dai giornalisti amici, i migliori, e che però vengono pubblicate sui giornalacci, quelli della destra, che non lo farà per fin di giustizia, ma quanto meno per vendicarsi della presunta superiorità morale della sinistra, superiorità che si scopre essere niente altro che un velo ormai sdrucito per coprire i più sordidi traffici di influenze, morali e materiali, lo scorrere carsico di corruzioni e scorribande togate e non.
Amaresca. Come la classica ciliegina sulla torta, ecco giungere, senza che sia neppure maturata troppo, la candidatura di Catello Maresca. Ministro della giustizia? CSM? DAP? No, una semplice poltrona di governatore, quello della Campania, scelta che ben si intona con quella del sindaco di Napoli, l’ex pm de Magistris, il quale tuttavia decise di dimettersi dall’ordine giudiziario per dedicarsi alla politica. Maresca brucerà tutti i vascelli alle sue spalle prima di entrare in politica? Come auspicava Rosario Livatino, uno dei pochi ad essere stato grande sia come magistrato che come uomo, dato che non nascondeva la sua perplessità su quegli uomini che entrati in magistratura si fossero fatti irretire dalle sirene della politica.
(24 maggio 2020)