di Salvatore Fiorentino © 2021
Filantropo? O psicopatico sino al punto da voler informare il mondo ad un algoritmo, il suo? Chi è veramente William Henry III Gates, al secolo Bill Gates? Nessuno può dirlo oggi. Sicché, “timeo Danaos et dona ferentes”: non sarà sempre il caso, ma quando un potente, buono o cattivo che sia, ci vuole regalare qualcosa, specialmente quando abbia l’aria di un secchione saputello, forse è prudente rammemorare uno degli insegnamenti della classicità.
Anche perché il mondo ai tempi di Microsoft è stato un mondo sempre più omologato, diviso tra i fan di Windows e quelli dell’altro guru, Steve Jobs, il capo della “setta” Apple. Bill Gates vuole “donare” – si fa per dire perché ne pagheremo il prezzo sino all’ultimo cent – all’umanità il tanto bramato “vaccino” anti Covid-19, promettendo di sfornare un preparato che fornirà una copertura universale per tutti i tipi e varianti del ceppo “Coronavirus”.
E per questo detta consigli ai governanti del pianeta, ed in sostanza dice una cosa sola: mettete a disposizione le risorse finanziarie, che io sono pronto a tirare fuori la soluzione. Sembra come quando, sempre nell’informatica, chi ha creato i virus ci venda l’antitodo. Effettivamente Bill ci aveva avvisato per tempo: non saranno le armi nucleari a mettere in pericolo la sopravvivenza dell’umanità, ma degli enti microscopici, appunto.
Possiamo difenderci persino dalle armi nucleari, sopravvivere durante e dopo una guerra, ma siamo inerti ed indifesi nei confronti di un nemico invisibile e impalpabile che si insinua tra di noi senza preavviso e senza che possa essere scoperto prima che ci abbia colpito.
(14 aprile 2020)
LE TRE MOSSE (GLOBALI) PER SUPERARE L’EPIDEMIA
di Bill Gates
Ultimamente ho parlato con decine di esperti sul Covid-19 e appare chiaro che la malattia uccide di preferenza gli anziani, rispetto ai giovani; in maggioranza gli uomini, rispetto alle donne; ma si accanisce soprattutto contro i poveri. Non ho riscontrato prove, però, che il Covid-19 faccia distinzioni di nazionalità: non conosce confini.
Problema planetario, soluzioni globali
Desidero sottolinearlo perché da quando il mondo è venuto a conoscenza del virus, ai primi di gennaio, i governi si sono impegnati a dare risposta a un’esigenza nazionale: come proteggere i cittadini che vivono entro i nostri confini? È comprensibile. Ma i capi di governo devono ammettere che fino a quando il Covid-19 continua a dilagare, il problema si estende a tutti gli abitanti del pianeta.
I paesi poveri
Il virus ha finora risparmiato molti Paesi poveri o in via di sviluppo, e non si sa esattamente perché. Sappiamo però che il contagio si diffonderà prima o poi anche lì. E in mancanza di aiuti, il numero di malati e di vittime toccherà livelli mai raggiunti finora. Riflettiamo: il Covid-19 ha messo in ginocchio una città come New York, eppure i dati ci confermano che un singolo ospedale di Manhattan dispone di più letti di terapia intensiva che la maggior parte dei Paesi africani. Oggi sono a rischio milioni di persone.
Tre misure per i capi di governo
E anche se le nazioni ricche riusciranno a rallentare il propagarsi della malattia nei prossimi mesi, il Covid-19 potrebbe tornare nuovamente a colpire, se la pandemia dovesse diffondersi in altre zone del mondo. Una parte del pianeta potrebbe infettare a più riprese l’altra: è solo questione di tempo. Per questo abbiamo disperatamente bisogno di una strategia globale, consapevoli che le modalità della lotta al virus dovranno cambiare con l’evolversi della pandemia. Ma ci sono almeno tre misure che i capi di governo — in particolar modo quelli del G20 — possono adottare senza perder tempo. La prima è assicurarsi che le risorse mondiali vengano distribuite efficacemente: parliamo di mascherine, guanti e test diagnostici. Sappiamo però che le riserve sono limitate, e pertanto occorre fare scelte difficili in modo intelligente.
Consensi
Su alcuni punti cominciano a convergere i consensi: per esempio, che gli operatori sanitari in prima linea dovrebbero essere i primi a sottoporsi a test diagnostici e ricevere tutti i dispositivi di protezione personale. Su scala mondiale, però, come si compie la scelta? Come vengono distribuiti mascherine e test diagnostici in una comunità o in una nazione rispetto alle altre? La risposta si traduce in un’altra domanda, assai sconcertante: Chi è disposto a offrire di più? Personalmente, seppur convinto sostenitore del capitalismo, sono il primo a riconoscere che in una pandemia i mercati non funzionano nel migliore dei modi, e l’esempio più drammatico è proprio il mercato delle forniture salvavita. Il settore privato svolge un ruolo importante, ma se la nostra strategia di lotta al Covid-19 si trasforma in un’asta al miglior offerente tra i vari Paesi, il virus causerà molte più vittime.
Risorse
Occorre mettere in campo le risorse in base alle urgenze mediche e di salute pubblica. Abbiamo molti esperti, formati nelle epidemie di Ebola e Hiv, pronti ad aiutarci a tracciare le linee guida per raggiungere lo scopo. E i capi di Stato dei Paesi sviluppati e di quelli emergenti devono lavorare assieme all’Oms e i suoi partner per metterle nero su bianco. A quel punto, le nazioni partecipanti dovranno accordarsi pubblicamente sulle direttive da seguire, assumendosi le proprie responsabilità. Questi accordi saranno particolarmente importanti quando sarà disponibile un vaccino per il Covid-19, perché solo attraverso l’immunizzazione si potrà mettere davvero fine alla pandemia.
Il secondo passo
Da questa considerazione scaturisce il secondo passo imprescindibile: i capi di governo dovranno stanziare i fondi necessari alla ricerca medica per lo sviluppo di un vaccino. Nella drammatica vicenda del Covid-19, gli spiragli di ottimismo sono stati rari, ma il principale riguarda indubbiamente la scienza. Tre anni fa la nostra fondazione Wellcome Trust, con l’appoggio di alcuni governi, ha lanciato la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi), un consorzio per finanziare progetti di ricerca per lo sviluppo di vaccini contro le malattie infettive emergenti. L’obiettivo era quello di velocizzare il processo di sperimentazione dei vaccini e finanziare le metodologie più rapide e innovative per il loro sviluppo. Se un nuovo virus avesse cominciato a farsi strada nel mondo, ci avrebbe trovato preparati.
[articolo apparso su “Corriere della Sera”, 12 aprile 2020]